Una poltrona per troppi

A Palermo si prepara una gran malafigura per partiti e patroni

Salvatore Merlo

Renato Schifani, confessandosi a un amico, si fa largo nel folto delle parole per mettere le mani sul nocciolo della verità: “A Palermo rischiamo una gran malafigura”. Ed è una minaccia incombente, inarrestabile, dotata di soverchiante superiorità e rivolta contro tutte le figurine del presepio elettorale (a maggio si vota per il nuovo sindaco). La malafigura, appunto.

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    Renato Schifani, confessandosi a un amico, si fa largo nel folto delle parole per mettere le mani sul nocciolo della verità: “A Palermo rischiamo una gran malafigura”. Ed è una minaccia incombente, inarrestabile, dotata di soverchiante superiorità e rivolta contro tutte le figurine del presepio elettorale (a maggio si vota per il nuovo sindaco). La malafigura, appunto. Angelino Alfano e Schifani sono talmente preoccupati che martedì hanno pensato di coinvolgere il Cavaliere in persona. Una telefonata è partita verso Arcore. Il messaggio avrebbe dovuto suonare più o meno così (avrebbe dovuto): “Con Micciché parlaci tu, convincilo tu ad allearsi con noi, riportalo all’ovile. Quello vuole sempre giocare da solo. Già ha consentito a Lombardo di buttarci fuori dalla regione. Stavolta ci fa perdere pure le elezioni”. Il fatto è che dopo la non felice stagione del sindaco Diego Cammarata (a Palermo ora governa un commissario), Alfano e Schifani, padri nobili del Pdl siciliano, non trovano un candidato. Hanno scartato l’ipotesi di Roberto Lagalla, il potente rettore dell’Università e adesso hanno rivolto le loro attenzioni su Francesco Cascio, il presidente del Parlamento regionale (che però a mollare quell’incarico sicuro non ci pensa nemmeno). La coppia Alfano&Schifani oscilla pure sull’idea di inaugurare un esperimento di “primarie a Palermo” (i precedenti non sono incoraggianti). E infine – maggiore tra le grane – i due non riescono a riannodare l’alleanza con Gianfranco Micciché, il populista blasonato che dopo aver rotto con il Pdl e fondato un suo partito (“Grande sud”), si è lanciato in una corsa solitaria al comune facendo capire ai poco amati colleghi quali siano i termini dell’accordo possibile: la candidatura a sindaco di Micicchè medesimo. Così martedì è squillato il telefono di villa San Martino, casa Berlusconi. Ma a vuoto. Il Cavaliere era impegnato in una lunga riunione con lo stato maggiore dell’informazione Mediaset e Michela Vittoria Brambilla. Argomento: la creazione di una confederazione nazionale delle associazioni a difesa dei diritti degli animali.

    Ma quella della “malafigura” è una maschera che a Palermo finiranno per indossare tutti, anche nel Partito democratico. Tre candidati in rissa, sguardi obliqui e affilati, minacce di scissione e un prologo drammatico nei sondaggi (che contribuiscono a un certo radicato sentimento di inferiorità). La segreteria nazionale ha benedetto la candidatura di Rita Borsellino associata al non proprio freschissimo Leoluca Orlando. Ma nel Pd palermitano alcuni si lamentano, agitano il ragguardevole curriculum della Borsellino, smacchi e confronti perduti: sconfitta alle regionali del 2006, risconfitta nel 2008, non eletta in Senato alle politiche. Contro di lei e contro Orlando (al suo terzo tentativo di tornare al comune) si sono alleati Giuseppe Lumia (ex Ds e una carriera di antimafia politica) e Salvatore Cardinale (ex Dc che il 14 aprile 2008 cedette alla figlia Daniela il posto in lista per la Camera). Entrambi sostenitori del governatore ribaltonista Raffaele Lombardo, hanno candidato un uomo dell’Idv (stesso partito di Orlando): Fabrizio Ferrandelli. “Se passa la candidatura di Borsellino noi ce ne andiamo”, dicono senza le cautele, le delicatezze, i colpettini di tosse e i piedi di piombo che hanno reso archetipica la politica siciliana. Nel marasma – meglio una parola in più che una in meno – corre pure Davide Faraone, detto “il rottamatore della Vucciria” perché sponsorizzato da Matteo Renzi, il più noto sindaco “rottamatore” di Firenze. Ieri Faraone ha attaccato (renzianamente) la segreteria e la nomenclatura: “Capisco che Bersani dopo la débâcle di Genova si gioca tutto a Palermo, ma è scandaloso. Finanzia la campagna della Borsellino”. Lo consiglia Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5, sostenitore di Renzi e produttore televisivo famoso per aver importato il “Grande Fratello”. Sintesi: il Pd si fa in tre, e l’Idv si fa in due. Così gli elettori di Palermo assistono all’apparecchiarsi di una tragica malafigura dalla quale conta di salvarsi solo Lombardo, con i suoi alleati Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, e il suo giovane candidato sindaco Massimo Costa, scippato al Pdl. Casini, che avanza e rincula, blandisce e rintuzza sia il Pd sia il Pdl, conserva in tasca la lama del cinismo politico e stravede per queste elezioni comunali. A Palermo può cadere Alfano, in un unico botto possono deflagrare Pd e Pdl. Si può costituire il primo nucleo del Partito della nazione. Il congresso fondativo è in autunno.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.