Così ora in Spagna si possono licenziare i dipendenti statali

Marco Valerio Lo Prete

La riforma spagnola del mercato del lavoro forse non avrà effetto nel “breve periodo”, come ha detto ieri in Parlamento il premier conservatore Mariano Rajoy, ma da un punto di vista simbolico può essere una svolta, spiega al Foglio uno degli economisti iberici più esperti della materia, J. Ignacio Conde-Ruiz del think tank Fedea. A partire dalla possibilità concessa ad alcune amministrazioni pubbliche di licenziare i propri dipendenti per ragioni economiche

    La riforma spagnola del mercato del lavoro forse non avrà effetto nel “breve periodo”, come ha detto ieri in Parlamento il premier conservatore Mariano Rajoy, ma da un punto di vista simbolico può essere una svolta, spiega al Foglio uno degli economisti iberici più esperti della materia, J. Ignacio Conde-Ruiz del think tank Fedea. A partire dalla possibilità concessa ad alcune amministrazioni pubbliche di licenziare i propri dipendenti per ragioni economiche. Una premessa sul pensatoio Fedea è d’obbligo: la Fundación de Estudios de Economía Aplicada fu infatti fondata 25 anni fa dalla Banca centrale spagnola, salvo poi aprirsi ai finanziamenti dei maggiori gruppi industriali e finanziari del paese; e da tempo il think tank studia uno dei mercati del lavoro più travagliati d’Europa (con un tasso di disoccupazione al 23 per cento), al punto che in questi giorni Ignacio Fernández Toxo, segretario generale del sindacato Ccoo e presidente della Confederazione europea dei sindacati, ha accusato proprio Fedea di essere “la pluma de la reforma laboral”, la penna che per conto dell’esecutivo ha scritto la riforma approvata in Consiglio dei ministri venerdì scorso. “Tutto falso – esordisce Conde-Ruiz – lo dimostra il fatto che il governo ha ignorato la nostra proposta storica, quella di un contratto unico di lavoro a tempo indeterminato, che elimini la selva di contratti oggi esistenti”. Non a caso Fedea, in aprile, coordinerà un incontro internazionale sul contratto unico assieme alla Fondazione Rodolfo Debenedetti di Tito Boeri.

    Detto ciò, secondo gli economisti di Fedea non mancano gli aspetti positivi della “reforma laboral” approvata dal governo conservatore. “A partire dalla possibilità di licenziare per motivi economici, nel caso di enti pubblici in perdita, tutti quei dipendenti statali che non sono entrati nella Pubblica amministrazione per concorso – spiega Conde-Ruiz – ma che piuttosto sono stati assunti per chiamata diretta o più spesso nomina politica di sindaci e amministratori locali”. Su oltre 3 milioni di statali, si tratta di circa 685 mila dipendenti – con contratti sia a tempo determinato che indeterminato – d’un tratto non più inamovibili (a patto ovviamente che il loro licenziamento sia opportunamente indennizzato). “Si dovrà capire cosa accade davanti ai giudici del lavoro – dice Conde-Ruiz – ma la misura ha molte potenzialità”. Pur non risolvendo il problema della segmentazione del mercato del lavoro spagnolo, diviso tra “iper garantiti” e “iper precari”, la riforma – secondo l’economista di Fedea – potrà aiutare nel medio-lungo termine ad aumentare produttività e crescita anche nel settore privato: “Innanzitutto stabilendo per legge la superiorità degli accordi raggiunti tra imprenditori e lavoratori a livello d’impresa rispetto ai contratti settoriali o regionali. Poi abbassando il costo dell’indennizzo da corrispondere al lavoratore in caso di licenziamento”. Si passa da 45 a 33 giorni di salario garantito per ogni anno lavorato, fino a un massimo di 24 mesi (non più di 42).

    Infine Conde-Ruiz sottolinea la "maggiore flessibilità” concessa all’organizzazione del lavoro nelle imprese (orari, salari, etc.), anche se poi mette in guardia: “Attendiamo la concreta applicazione delle norme e la loro interpretazione da parte dei giudici, prima di una valutazione più certa”. Anche dal governo italiano ovviamente c’è massima attenzione all’evoluzione legislativa spagnola. Per ora – si osserva – Madrid ha approvato un decreto governativo; è da vedere cosa uscirà dal dibattito parlamentare: “Per l’Italia la sfida è difficile, ma abbiamo l’occasione di fare meglio della Spagna – dice al Foglio il viceministro del Lavoro, Michel Martone, che ieri ha partecipato al terzo incontro tra esecutivo e parti sociali – Possiamo fare infatti una riforma del mercato del lavoro con il consenso sociale”.