Non ci sono solo gli iPad dietro la guerra tra Apple e la Cina
Ogni giorno che passa, la guerra tra Apple e la Cina diventa più dura. Tutto è cominciato lo scorso gennaio con la pubblicazione sul New York Times di un’inchiesta che documentava le condizioni lavorative estreme cui sono sottoposti i dipendenti della Foxconn, principale azienda fornitrice di Apple in Asia.
Ogni giorno che passa, la guerra tra Apple e la Cina diventa più dura. Tutto è cominciato lo scorso gennaio con la pubblicazione sul New York Times di un’inchiesta che documentava le condizioni lavorative estreme cui sono sottoposti i dipendenti della Foxconn, principale azienda fornitrice di Apple in Asia. I riflettori sulla Foxconn – che con i suoi 1,2 milioni di lavoratori produce o assembla il 40 per cento di tutta l’elettronica di consumo a livello mondiale – si erano accesi già nel 2010, quando una serie di suicidi tra i suoi operai aveva spinto l’azienda di Cupertino ad avviare indagini per capire cosa accadesse realmente nelle fabbriche cinesi. Commentando l’inchiesta del New York Times, il ceo di Apple Tim Cook ha detto: “I lavoratori in ogni parte del mondo hanno il diritto di operare in un contesto sicuro”. Proprio per questo Apple ha chiesto alla Fair Labor Association – l’associazione voluta da Bill Clinton nel 1999 per promuovere il rispetto delle norme di sicurezza sul luogo di lavoro – di avviare un monitoraggio delle condizioni lavorative degli operai della Foxconn. Le ispezioni sono iniziate nella sede di Shenzhen, città da cui nel frattempo giungevano altre brutte notizie per il colosso fondato da Steve Jobs.
La Proview Technology, azienda cinese specializzata nel campo dell’elettronica, ha chiesto alla dogana di Pechino di bloccare le esportazioni di iPad prodotti nelle fabbriche cinesi e le importazioni dei tablet assemblati all’estero. La società di Shenzhen rivendica il diritto a usare il brand iPad per i suoi prodotti, sostenendo che il marchio era stato registrato nel 2001. Apple non ci sta, e replica che il marchio è stato regolarmente acquistato nel 2009 per circa 55 mila dollari dalla Proview di Taipei (affiliata alla casa madre di Shenzhen), che aveva già registrato il brand in diversi paesi fin dal 2000. Lo scorso dicembre, un tribunale locale aveva respinto la denuncia di Apple che accusava la Proview di violare il copyright dell’iPad, stabilendo che in territorio cinese l’unico proprietario del marchio è la società di Shenzhen.
Una serie di ricorsi e controricorsi ha fatto sì che in quattro province della Cina sia iniziato un sequestro preventivo di iPad, così come richiesto dalla Proview. “Si tratta di una stretta applicazione delle norme vigenti – spiega al Financial Times Kenny Wong, legale specializzato in questioni di trademark – dal momento che la legge cinese consente a un’azienda che ha vinto una causa in tribunale di chiedere alla dogana il blocco delle esportazioni dei prodotti che portano il brand conteso”. E’ un diritto che, aggiunge Li Yongbo, legale esperto in tecnologie informatiche, “molte compagnie cinesi usano contro i contraffattori, ma sempre più spesso anche contro i diretti concorrenti stranieri”. Dopo la sentenza dello scorso dicembre, Proview ha chiesto come risarcimento ad Apple un pagamento iniziale di circa 1,6 miliardi di dollari per violazione del copyright. Si tratta comunque di stime preliminari, che potrebbero essere riviste in futuro. Il blocco del mercato cinese rappresenterebbe per Cupertino un danno incalcolabile, specie ora che è imminente (forse il prossimo 3 marzo) il lancio del nuovo iPad3.
Proprio questo appuntamento fa sorgere più di un dubbio negli esperti sui reali propositi dell’industria tecnologica di Pechino: in contemporanea con l’uscita del nuovo gioiello Apple, la Lenovo (principale multinazionale cinese nel campo dell’elettronica di consumo) ha presentato l’IdeaPad Yoga, un tablet di ultima generazione che segue di poche settimane il lancio di Lenovo S2, lo smartphone con sistema operativo Android che punta a far concorrenza diretta all’iPhone. Forse non si tratta di coincidenze, ma è l’inizio di una guerra commerciale senza sconti tra colossi delle tecnologie.
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