Storia di Lin, l'improvviso fenomeno sino-americano che ha salvato l'Nba

Stefano Pistolini

C’era una volta una Lega dello sport Usa che, dopo essere diventato lo spettacolo più popolare del pianeta, era entrata in una seria crisi d’identità ed economiche. Morale: una  serrata fino a Natale e tanti interrogativi su un’annata in cerca di motivazioni. E nel cuore di questo malessere c’è New York City e la sua squadra dei Knicks, eterna incompiuta.

    C’era una volta una Lega dello sport Usa che, dopo essere diventato lo spettacolo più popolare del pianeta, era entrata in una seria crisi d’identità ed economiche. Morale: una  serrata fino a Natale e tanti interrogativi su un’annata in cerca di motivazioni. E nel cuore di questo malessere c’è New York City e la sua squadra dei Knicks, eterna incompiuta. Un mercato sontuoso aveva generato l’abituale armata Brancaleone, mal gestita dal pur valoroso coach Mike D’Antoni e tra i mugugni s’andava verso un’altra stagione perdente. Poi è arrivato Jeremy Lin, la grande speranza gialla. Lin-arrivabile, Lin-credibile, il giocatore che in una settimana ha cambiato non solo il campionato di una squadra, ma la popolarità del basket su base  planetaria. Quella di questo occhialuto ragazzo che non supera il metro e 85 centimetri è la più sensazionale storia di sport e successo dell’America 2012.

    Comincia quando i Knicks per coprirsi nel ruolo di guardia, coi titolari acciaccati, pescano, a costo di realizzo, questo tranquillo ragazzo nato negli States da genitori taiwanesi, diventato giocatore grazie a un papà pazzo per il basket. Non che Jeremy abbia fatto dello sport il suo unico sbocco professionale. Con la qualità di tanti cino-americani, Jeremy viene ammesso a Harvard, completa gli studi e si toglie lo sfizio d’essere uno dei migliori giocatori del college, dove certamente però lo sport non è una priorità. Alla fine il nome Lin non entra in quelle scelte che i team dell’Nba fanno tra i giocatori universitari, per rinforzare i propri organici. E la carriera di Jeremy finirebbe là. Ma non è così.

    Durante un’esibizione estiva Lin fa un figurone contro John Wall, star emergente dell’Nba. E, sia pure dalla porta di servizio, entra nel giro. Due contratti, a Houston e San Francisco, tanta panchina e due licenziamenti. Poi la chiamata di New York, dove sanno della sua disciplina, della sua intelligenza non comune, della sua positiva attitudine da spogliatoio. Ancora tanta panchina, in vista della nuova liquidazione. Ma i Knicks sono un disastro, perdono sempre e male. La poltrona di Mike D’antoni scricchiola, coi tifosi desolati per lo show. A quel punto il coach gioca la carta Lin. Lo manda in campo nel secondo tempo di una partita a Houston, Jeremy gioca bene, ma la squadra perde lo stesso. La partita dopo D’Antoni insiste, ma questa volta schiera Lin dall’inizio: vittoria, leadership, 20 punti personali. E’ nata la Lin-mania. New York ribalta la classifica vincendo 6 partite di fila, due delle quali battezzate da un tiro all’ultimo secondo della nuova guardia. E’ l’atteggiamento di Lin in campo a storidire la platea tv: veloce, acuto, abile nel cogliere le opportunità, coraggioso, un improvviso, solare capo da amare. Espn e il NYT diventano i suoi sponsor, ma la storia corre più veloce del vento. In una settimana il giocatore sconosciuto è un divo assoluto, Letterman lo vuole, la sua maglietta è la più venduta dei negozi Nba, e soprattutto le tv orientali triplicano l’interesse per la Lega. Lui sorride, ringrazia e posta su YouTube un video divertente in cui spiega i trucchi per farsi ammettere a Harvard.

    Che succederà ora? Che i padrini dei Knicks torneranno e normalizzeranno il prestigio di Lin. Che gli avversari lo studieranno (Kobe Bryant, prima che Lin l’umiliasse al Madison pronunciò il fatidico “Lin, chi?”) e che i suoi difetti verranno evidenziati. Tornerà a essere ciò che è sempre stato: un buon giocatore, con un’eccellente attitudine. Niente di più. Ma per una settimana è stato l’americano più chiacchierato e il salvatore di una stagione. Perché la regola che non conosce vacanza è che farsi trovare al posto giusto al momento giusto è l’anticamera di qualcosa che oscilla dall’estasi alla santificazione.