Destrezze

Consigli ad Alemanno per uscire dal suo stato di calamità politica

Alessandro Giuli

Gianni Alemanno non ha molte chance di sopravvivere politicamente, in Campidoglio, allo stato di calamità politica in cui giace. Dovrà dunque giocarsele nel migliore dei modi. L’uno-due subìto recentemente per via dell’incauta gestione delle nevicate romane e per il rifiuto della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 sembra aver frastornato il sindaco della Capitale.

    Gianni Alemanno non ha molte chance di sopravvivere politicamente, in Campidoglio, allo stato di calamità politica in cui giace. Dovrà dunque giocarsele nel migliore dei modi. L’uno-due subìto recentemente per via dell’incauta gestione delle nevicate romane e per il rifiuto della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 sembra aver frastornato il sindaco della Capitale. Un suo difetto storico, noto a chi lo conosca da quando indossava i gradi di ufficiale nel Fronte della gioventù missino, è l’emotività caratteriale che si combina con la scarsa fiducia nel suo entourage. Non ha torto il sociologo Luigi Manconi, quando rileva sul Foglio la plateale assenza d’un consigliere autorevole (non sondaggista, consigliere) in grado di assicurare direzione ed efficacia alle decisioni da prendere sulla linea del fuoco. Il guaio è che Alemanno persiste nell’errore, preannuncia una singolar tenzone epistolare con il premier Mario Monti – sempre sul dossier olimpionico – ed è illuso di rilegittimarsi minacciando le dimissioni, per giungere a eventuali primarie con l’appoggio uniforme del Pdl. Il sindaco rischia di replicare lo stesso capitombolo nel quale è incorso attaccando briga con la Protezione civile sull’allarme meteo delle settimane scorse.

    Spieghiamoci: i romani sono geneticamente abituati (per non dire rassegnati) a uno strutturale malfunzionamento della viabilità metropolitana e, quando interviene un elemento esogeno ad aggravare il problema, scaricano nell’immediato la tensione sul primo cittadino, poi passano oltre. La protervia con la quale Alemanno ha ingaggiato la sua battaglia solitaria e compulsiva ha soltanto accresciuto, prolungandola, la percezione di uno smarrimento altrimenti anche comprensibile. Idem per il dossier Olimpiadi: è una sconfitta da rimuovere celermente, a meno di voler offrire l’impressione d’essere singolarmente aggrappati agl’investimenti di denari pubblici e alla loro presunta destinazione familistico-immobiliare (l’espressione “comitato d’affari” è rozza, ma anche dura da contrastare se gli avversari sanno maneggiarla con perizia).

    Veniamo al resto. Sul Campidoglio incombe un’altra sentenza del Tar che potrebbe costringere il sindaco a rimescolare la Giunta per ragioni di contabilità sessualmente corretta (quote rosa). Altro brutto schiaffo, ma non pensiamo sarebbe la fine del mondo. Da qui alle prossime elezioni c’è un anno buono, il tempo per recuperare consensi non manca e Alemanno almeno una virtù la conserva: in campagna elettorale si trasforma in Lupomanno, ha un fiuto animale per le rincorse difficili, sa distinguersi nella dimensione movimentista in cui gli stati d’animo prevalgono sui ragionamenti freddi. Ma per attivare questo suo pregio dovrà uscire al più presto dal cerchio stregato delle delusioni personali, da un recidivo complesso d’inferiorità antropologica – altro sciagurato segno di debolezza: l’aver giocato di rimessa, tenendosi sulla difensiva e scimmiottando il lessico conformista dei suoi accusatori, nelle vicende riguardanti il suo rampollo anti sistema Manfredi e l’ex consulente fascio-rocchettaro Vattani – e della sindrome amletica che annebbia la sua reale volontà di giocarsi la riconferma al Campidoglio.

    Nell’essenza, gli è quasi necessario inscenare una campagna elettorale contro il simulacro di se stesso che ha deambulato per l’Urbe dal 2008 a oggi. In questo sia Rutelli sia Veltroni sono stati maestri, vale dunque la pena di ripassare la lezione sui loro libri mastri. Inoltre, ma è un punto decisivo, Alemanno deve congedarsi dal suo apparato predatorio e dai sepolcri (imbiancati oppure no) che lo contornano ingrassando sulle sue insicurezze. Poi ci sarebbe anche la questione del programma, che si compone di buone idee e di gesti identitari più che simbolici; ma, viste le circostanze calamitose, si può ancora rinviare.