Così Squinzi e Bombassei si dividono su Fiat e Italia

Michele Arnese

I due candidati c’erano già, adesso ci sono anche i programmi. Per carità, “sono idee e non un programma per la presidenza”, ha scritto mercoledì sera il patron di Mapei, Giorgio Squinzi, ai membri della giunta confindustriale e ai presidenti delle associazioni. Saranno pure idee, però sono di fatto una bozza di programma di chi si candida a succedere a Emma Marcegaglia al vertice della confederazione degli industriali.

    I due candidati c’erano già, adesso ci sono anche i programmi. Per carità, “sono idee e non un programma per la presidenza”, ha scritto mercoledì sera il patron di Mapei, Giorgio Squinzi, ai membri della giunta confindustriale e ai presidenti delle associazioni. Saranno pure idee, però sono di fatto una bozza di programma di chi si candida a succedere a Emma Marcegaglia al vertice della confederazione degli industriali. L’altro candidato, il patron di Brembo, Alberto Bombassei, il programma l’aveva stilato un mese fa in maniera più dettagliata. Troppo in anticipo, secondo i marcegagliani e non solo, che sostengono Squinzi: “Non facciamo mica le primarie all’americana in Confindustria”, si mormorava ai piani alti di Viale dell’Astronomia fin da quando Bombassei ha dato prova di un inedito protagonismo. Per questo Squinzi, nella lettera ricevuta ieri dai colleghi, si vanta di “rispettare le regole statutarie”. Quindi il programma, dice, lo proporrà quando verrà designato ufficialmente dai componenti la giunta”.

    Le idee rispecchiano le personalità dei due imprenditori. Squinzi ricorre a un inizio in stile montiano: “Ho l’idea di una Confindustria sobria”. Siccome il concetto può essere confuso, lo ripete in altro modo due righe dopo: “L’Italia ha bisogno di sobrietà e noi dobbiamo dare un chiaro esempio”. E subito partono le stilettate indirette all’avversario: “Ho cercato di evitare una forte esposizione mediatica”, scrive. Mentre Bombassei da circa due mesi con un profluvio di interviste alla stampa lavorava per raccogliere consensi e appoggi.

    I brani dei programmi sul futuro dell’associazione mostrano le differenze. Squinzi rivendica come un “grande valore da difendere l’associazionismo in Italia”. Un passaggio implicitamente critico verso l’antagonismo associativo della Fiat che è uscita da Confindustria? Sul tema, Bombassei da imprenditore vicino alla galassia Fiat usa toni più incalzanti e riformatori. Il numero uno di Brembo vuole una “rifondazione” della confederazione, visto che c’è stato “un deterioramento della vita associativa” e, addirittura, “il veleno della faziosità politica si è purtroppo infiltrato anche nella nostra vita associativa”. Voglio quindi “fare di Confindustria una realtà più efficiente e più dinamica”, ha scritto uno dei vice della Marcegaglia. Meno arrembanti i concetti di Squinzi, pure lui vice del presidente uscente: “Serve un’organizzazione autorevole e coesa”.

    Anche sul presente e sul futuro dell’Italia le diversità sono evidenti. Se Bombassei ricorre a frasari montezemoliani (“il paese è un malato molto grave”, “un ceto politico ha intermediato interessi pagando e rimborsandosi a piè di lista), Squinzi è più felpato: “Dobbiamo essere più europei in tutto”. E nella missiva ricevuta ieri dalla giunta, indica le sei priorità su cui si deve concentrare la confederazione. Prima priorità: semplificazione normativo-burocratica. Seconda: “Una politica energetica che consenta di ridurre il divario di costo di circa il 30 per cento sulla media europea” (chissà se la sottolineatura è gradita ai colossi energetici come Eni ed Enel). Terza priorità: “Politica fiscale non oppressiva e prevaricatrice”. Poi un’imprecisata “politica creditizia per le imprese”, “un intervento rapidissimo sui tempi di pagamento delle amministrazioni pubbliche” e “una politica di investimenti nelle infrastrutture”.

    Ma è sulle relazioni industriali che le impostazioni dei due candidati si divaricano nettamente. Bombassei ha toni simil marchionniani. Riafferma il valore della contrattazione quanto più vicina possibile ai luoghi di lavoro, difende gli “accordi aziendali raggiunti con la maggioranza dei consensi dei lavoratori” (in stile Lingotto) e promette: voglio “dare alle imprese una scatola degli attrezzi dalla quale ogni azienda possa scegliere il modello di contrattazione più coerente con le proprie esigenze”. Ben altre, e più felpate, le argomentazioni di Squinzi. Innanzitutto “ho sempre rifiutato approcci o scelte che non fossero strettamente legati alla sostanza e al merito dei problemi” (stoccatina a Marchionne?). E poi le relazioni industriali devono essere sì un “fattore di competitività” ma pure “di responsabilità sociale”. Devono essere, quindi, “uno strumento utile non solo a risolvere i problemi ma a prevenirli”  (altra stoccatina a Marchionne?).