Stiamo sulle Generali

Stefano Cingolani

“Forse si è perso un anno”. L’attento osservatore di vicende finanziarie alza gli occhi dalla tazzina di caffè con fare pensoso. E prosegue: “Esattamente dodici mesi fa, il gruppo Ligresti sull’orlo del tracollo era nel mirino di Vincent Bolloré e Groupama, seconda compagnia di assicurazione francese, entrambi azionisti di Mediobanca.

Leggi Il ruolo dibattuto di Generali nella scalata di Palladio a Fonsai - Leggi La baruffa tra Uni-Mediobanca e Generali sulla super Unipol

    “Forse si è perso un anno”. L’attento osservatore di vicende finanziarie alza gli occhi dalla tazzina di caffè con fare pensoso. E prosegue: “Esattamente dodici mesi fa, il gruppo Ligresti sull’orlo del tracollo era nel mirino di Vincent Bolloré e Groupama, seconda compagnia di assicurazione francese, entrambi azionisti di Mediobanca. Il boccone più prelibato, allora come oggi, era Fondiaria-Sai, lo scrigno nel quale Enrico Cuccia aveva chiuso un pacchetto chiave per controllare se stesso. La Consob pose come vincolo un’Offerta pubblica di acquisto e i francesi piegarono i loro vessilli. Ma il tutto avvenne all’ombra di un sospetto, cioè che l’ispiratore occulto fosse Cesare Geronzi allora presidente di Generali”. Con l’aiuto di Bolloré, avrebbe blindato e rafforzato se stesso insieme al solito salotto buono. Oggi, il banchiere romano è fuori (e fa capire che non vuol essere tirato in ballo), ma i protagonisti dell’ultima battaglia finanziaria sono grosso modo gli stessi. Con una differenza di fondo: sono tutti più deboli e la partita in corso porta il segno della crisi.

    Certo, qualche faccia nuova s’è affacciata alla ribalta, per esempio i soci della finanziaria Palladio che sta scalando Fonsai: finanzieri e industriali veneti, uomini del nord-est con l’eterna voglia di uscire dalla provincia e in ogni caso di portare a casa un bel gruzzolo di sghei. C’è l’alleato Sator, il fondo di Matteo Arpe: dopo l’uscita da Capitalia l’ex golden boy di Mediobanca sta ancora cercando il colpo grosso e vuole la rivincita su Alberto Nagel che lo ha sconfitto nella Banca popolare di Milano. Gli sfidanti possono portare soldi freschi, ma comunque non abbastanza per comprare tutto.

    E’ debole, molto più debole, Mediobanca. Tutte le sue partecipazioni eccellenti si sono svalutate, nel frattempo. Un anno fa un’azione quotava 7,09 euro, oggi 3,4, insomma ha ceduto il 40 per cento. Proprio l’impegno nel gruppo Ligresti è un fardello minaccioso, un miliardo e cento milioni di euro rappresenta la metà dell’intera esposizione. Secondo Cheuvreux, il principale broker europeo che fa capo a Crédit Agricole, corrisponde al 17 per cento del patrimonio di vigilanza. La principale partecipazione azionaria della banca d’affari è il 13,2 per cento di Generali con un valore di mercato di poco superiore a tre miliardi. In un anno ha perso 28 punti percentuali scendendo da 16,88 a 12,1 euro. Cheuvreux stima che il Leone di Trieste potrebbe avere bisogno di aumentare il capitale per 5 miliardi.

    Nei confronti del top management di Generali, alcuni azionisti manifestano scontento. I privati sono rappresentati dai vicepresidenti Vincent Bolloré e Francesco Gaetano Caltagirone, quelli istituzionali da Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca. La tensione è arrivata al punto che prima di Natale negli ambienti finanziari milanesi circolava la perfida battuta che Perissinotto (la cui nomina scade l’anno prossimo) non avrebbe mangiato il panettone. Il rapporto più spinoso resta quello con il finanziere ceco Petr Kellner, partner al 49 per cento nella finanziaria Ppf, con in mano un diritto di uscita che potrebbe costare 2,5 miliardi di euro a Generali. L’accordo è stato svelato dall’Isvap, il guardiano delle assicurazioni che oggi sembra, al pari della Consob, osservare con benevolenza il piano Mediobanca-Unipol.

    Il piano di Piazzetta Cuccia
    Nagel, di fronte al crac Ligresti, coinvolge la compagnia delle cooperative rosse. Il progetto è questo: Unipol gruppo finanziario (Ugf) lancia un’Offerta pubblica di acquisto sulla cassaforte Premafin, la ricapitalizza e la fonde con Fonsai e con Unipol assicurazioni anch’esse ricapitalizzate. Chi paga? Le banche creditrici che in questo modo salvano i loro prestiti a rischio (quindi Mediobanca e Unicredit, poi Montepaschi, Intesa e altre). E i cooperanti della Legacoop, attraverso Finsoe, la stessa che doveva essere coinvolta nella scalata a Bnl nel 2005. Tutto fatto? Nemmeno per sogno. Le cooperative di consumo frenano. La crisi morde e togliersi liquidità è pericoloso. E poi, a vantaggio di chi? Della solita Unipol guidata da Carlo Cimbri, allievo di Giovanni Consorte, finito anche lui nella tagliola giudiziaria (nell’ottobre scorso è stato condannato a 3 anni e 7 mesi per aggiotaggio)? Fioccano le critiche a difesa del mercato come quella di Salvatore Bragantini, ex Consob, sul Corriere della Sera. Intanto, Palladio e Sator rastrellano azioni, sostenuti, si dice, da mani forti come De Agostini e Del Vecchio. Due soci di Generali che un anno fa avevano preso le distanze sia da Geronzi sia da Perissinotto. Il titolo balza alle stelle. Il 30 gennaio valeva 0,63 centesimi, oggi è arrivato a 1,74. Si pensa che gli scalatori abbiano già rastrellato il 20 per cento e forse ancor più insieme ad altri. Arpe e Roberto Meneguzzo, presidente della finanziaria vicentina annunciano un patto per ricapitalizzare Fonsai. Il 19 marzo si terrà l’assemblea della compagnia, si presenteranno i Ligresti in uscita, le banche con il progetto Unipol che possono contare su un pacchetto del 42 per cento e i nuovi soci i quali potrebbero essere in grado di far saltare il banco se potessero raccogliere, sia pur in modo frazionato per non rischiare l’accusa di concerto, fino al 30 per cento. 

    C’è qualcuno che tira le fila? Non sarà proprio Generali? “E’ ovvio che no”, risponde Perissinotto. Eppure Meneguzzo è suo amico, e alcuni dei protagonisti sono soci. “Non sono responsabile di quel che fanno”, rilancia dopo che il Foglio ha registrato per primo le voci di mercato. Una smentita è una notizia data due volte, così, il giorno dopo ecco nell’ordine la Repubblica, il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera del quale Mediobanca è azionista di riferimento. Solo la Stampa fa eco all’amministratore delegato delle Generali.

    Ma perché mai Perissinotto dovrebbe ordire un tal complotto? Lui e Nagel andavano d’amore e d’accordo, insieme hanno contribuito a defenestrare Geronzi e a scegliere un presidente amico e senza poteri come Gabriele Galateri. A Piazza Affari insistono che ormai da molti mesi s’è depositato uno strato di ruggine e invitano a guardare ai bilanci. Se dalla fusione tra Unipol e Fonsai nascesse un grande gruppo assicurativo, le cose si farebbero ancor più difficili per i triestini. Il Sole 24 Ore ieri ha mostrato un’inquietante tabella, fonte Goldman Sachs, dalla quale emerge che le tre prime compagnie italiane hanno patrimonio inferiore alle loro concorrenti europee, addirittura metà rispetto a Zurich per Generali e Unipol, quasi un terzo per Fonsai.

    Le attenzioni tedesche e francesi
    Gli appetiti, dunque, si aguzzano e non solo in Italia. First online, il quotidiano web di Ernesto Auci e Franco Locatelli, ha scritto ieri che sarebbe interessata la tedesca Allianz, al punto che oggi Angela Merkel, nell’incontro con Mario Monti, chiederà al governo italiano di restare alla finestra e non porre ostacoli al mercato. Argomento al quale Mario Monti è sensibile. Corrado Passera è poco convinto dell’operazione Unipol, secondo la Repubblica. E gli incontri romani di Nagel, martedì scorso, non hanno acceso nessuna luce verde. Allianz è la seconda compagnia in Italia e non ci tiene a venire scavalcata. Da lì proviene Enrico Cucchiani, oggi consigliere delegato di Intesa. Se scendono in campo i tedeschi, i francesi di Axa non possono restare alla finestra; il numero uno Henri de Castries ieri ha ripetuto che gli interessano le assicurazioni non le banche e “l’Italia è un mercato che vogliamo sviluppare”.

    E Bolloré? Groupama attraversa una fase difficile e ha cambiato management, ma non vuol essere tagliata fuori. Forse finirà  con uno spezzatino perché nessuno ha i quattrini per comprarsi tutto. E il boccone più prelibato è la Milano Assicurazioni. Qualcuno evoca Parmalat finita a Lactalis. Altri pensano a una soluzione in stile Alitalia: una cordata nazionale più un forte socio estero. E ricordano che la delega per le assicurazioni è in mano a Passera, l’uomo del salvataggio della compagnia di bandiera.

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