Toh, c'è l'accordo (forse)

Dal surplace sulla legge elettorale spunta intanto una riforma di sistema

Salvatore Merlo

Riuniti per accordarsi sulla legge elettorale, Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini hanno invece concertato un rinvio della riforma elettorale a tempi più chiari, cioè a ridosso delle politiche, ma hanno, chi più inconsapevolmente chi meno, gettato le basi per una riforma condivisa degli assetti istituzionali. Un’esito previsto, raggiunto dopo numerosi colloqui segreti nelle ultime settimane.

    Riuniti per accordarsi sulla legge elettorale, Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini hanno invece concertato un rinvio della riforma elettorale a tempi più chiari, cioè a ridosso delle politiche, ma hanno, chi più inconsapevolmente chi meno, gettato le basi per una riforma condivisa degli assetti istituzionali. Un’esito previsto, raggiunto dopo numerosi colloqui segreti nelle ultime settimane. L’inter delle riforme (riduzione del numero dei parlamentari e poteri del premier), dovrebbe partire entro un mese e dal Senato. Dei tre segretari, solo Casini ha l’aria sicura di quello che sa esattamente ciò che sta facendo. “Noi aspettiamo le amministrative”, ha sorriso ammiccando a Gianfranco Fini, il socio, il presidente della Camera che ovviamente non era presente alla riunione dei leader ma che, con Casini, condivide il progetto di fondare il Partito della nazione con pezzi del Pdl (e del Pd), subito dopo maggio, dopo le elezioni che – pensano loro – non adranno bene per i due partiti maggiori. Casini non ha voluto forzare, si è mosso senza fretta, con l’attitudine condiscendente e il passo saldo di chi crede di avere l’acqua per l’orto; difatti ha concesso al Pdl e ad Alfano il rinvio che volevano, “la riforma elettorale? Farla adesso indebolirebbe Mario Monti”, ha detto Casini mascherando con questa spiegazione i suoi pensieri più intimi. “Dopo le amministrative la capacità contrattuale di Alfano e del Pdl, ammesso che il prima sia ancora segretario e il secondo sia ancora un partito, sarà quasi nulla”, pensa in realtà il capo dell’Udc. E apparecchiare una legge proporzionale pura, alla tedesca, in questo contesto disastroso apparirà conveniente persino a Silvio Berlusconi, secondo una corrente di pensiero alla quale più volte, nei conciliaboli privati di Palazzo Grazioli, ha dato voce Denis Verdini. “Con il proporzionale riusciamo ad eleggere tanti parlamentari quanti ne abbiamo adesso, malgrado il sensibile calo dei voti”, ha detto spesso il coordinatore nazionale del Pdl. E anche il Pd di Bersani non aspetta altro. “Il proporzionale tedesco esalta la politica in grado di assumersi responsabilità”, cioè il meccanismo montiano, dice Francesco Boccia, amico di Enrico Letta.

    Certo, ci sono resistenze fortissime negli ambienti cattolici del Pdl, preoccupati da una egemonia di Casini e dal suo corteggiamento con il ministro montiano e cattolico Andrea Riccardi, con il leader dei popolari del Pd Beppe Fioroni e con tutto il mondo dell’associazionismo cattolico di Todi (Eugenia Roccella ha organizzato per la settimana prossima un convegno agguerrito, e forse benedetto da Angelo Bagnasco, invitando, tra gli altri, i veltroniani e bipolarisi del Pd Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini). Ma anche gli ambienti più sensibili alle inclinazioni umorali di Berlusconi osservano tutto questo movimento con preoccupazione. I pettegolezzi intorno alle intenzioni di Monti (e di Corrado Passera) sulla Rai – riforma della legge Gasparri, riduzione dei membri politici del Cda e la sostituzione di Lorenza Lei a ridosso o subito dopo le amministrative – sono percepiti come un segnale di allarme. “Da quello che succede in Rai si capisce tutto”, dice Daniela Santanchè: “Se un governo tecnico decide di farsi partito, per prima cosa riduce il potere del Parlamento in Rai”. E’ violentissimo il timore di perdere il controllo degli eventi, di subire e basta, senza minimamente riuscire ad orientare i futuri assetti del potere in Italia. “E chi si illude di poter essere salvato da Casini si sbaglia”. D’altra parte negli ambienti dell’Udc circola una battuta a proposito dei Frattini, degli Scajola e dei Pisanu (ma ci sono anche dei sospettati meno ovvi): “A noi interessano gli elettori del Pdl, non gli uomini del Pdl”. Casini non è alla ricerca del personale politico berlusconiano, ma dello spazio politico berlusconiano. Così, mentre il Cavaliere un po’ tentenna, nei corridoi di Palazzo Grazioli qualcuno ha riscoperto una vecchia, quanto difficilmente realizzabile, teoria di Giuliano Urbani: alle amministrative potremmo anche evitare di presentare il simbolo Pdl, liste civiche dovunque. “In questo modo poi sarebbe difficile quantificare le proporzioni della flessione elettorale”, dicono. Ma sembra inapplicabile. Fantasia. E dunque è in questo contesto che ieri Alfano ha conquistato il rinvio sulla legge elettorale, mentre Casini ha deciso di temporeggiare (“tanto so dove andiamo a finire”) e Bersani ha ottenuto un pareggio. Per il momento, al segretario del Pd va benissimo qualsiasi schema di gioco tenga Casini libero di fare manovra.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.