Calci paralleli

Lo "scarto" e lo scartato

Sandro Bocchio

Deve provarci piacere, Adriano Galliani. Ogni volta – o quasi – che ingaggia un giocatore dall'Inter, lo rigenera nel Milan: una galleria cui aggiungere il ritratto di Sulley Muntari, dopo quelli senza prezzo di Pirlo e Seedorf. Già, Pirlo. Dopo Ronaldinho e poco prima di Pato – fermato con i biglietti aerei già staccati – è stato uno dei campioni sacrificati dal tecnico rossonero alla sua idea di gioco. Come Pippo Inzaghi, che è facile immaginarsi roso dentro per la maglie da titolare appoggiate su tutte le spalle, tranne le sue.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Sullet Muntari e Pippo Inzaghi.

    Deve provarci piacere, Adriano Galliani. Ogni volta – o quasi – che ingaggia un giocatore dall'Inter, lo rigenera nel Milan: una galleria cui aggiungere il ritratto di Sulley Muntari, dopo quelli senza prezzo di Pirlo e Seedorf. Ghanese e passato dal Portsmouth come Boateng, meno classe ma più amor patrio visto che alla coppa d'Africa non ha rinunciato. E identica efficacia: a Boateng sono bastati pochi minuti per mettere in un angolo l'Arsenal, a Muntari è occorsa meno di mezz'ora per aprire la strada alla vittoria di Cesena e all'autocommiserazione di qualche tifoso nerazzurro, che potrebbe accorgersi di dover rimpiangere maggiormente la partenza del ghanese rispetto a quella di Thiago Motta. Gennaio conferma come il Milan sappia sempre scegliere bene tra gli scaffali delle occasioni: un anno fa Van Bommel, Cassano ed Emanuelson; stavolta Maxi Lopez e Muntari dopo aver tentato invano di non spendere soldi per Tevez. E se il primo ha ribaltato la partita di Udine, il secondo ha confermato le aspettative di Allegri: "E' il giocatore adatto a noi". L'allenatore del Milan non parlava a caso. Lui conosceva Muntari dai tempi di Udine, quando aveva affiancato Galeone come “ottimizzatore del lavoro”. Sapeva quanto il ghanese potesse garantirgli in fisicità e agonismo in un reparto alla base degli equilibri di ogni squadra. E sa pure bene quanto il destino sia pronto a presentare il conto, soprattutto se sabato sera Pirlo continuerà a fare (alla grande) quanto sta facendo con la Juventus nella partita che deciderà il futuro del campionato.

    Pirlo, per l'appunto. Dopo Ronaldinho e poco prima di Pato – fermato con i biglietti aerei già staccati – è stato uno dei campioni sacrificati dal tecnico rossonero alla sua idea di gioco. Come Pippo Inzaghi, che è facile immaginarsi roso dentro per la maglie da titolare appoggiate su tutte le spalle, tranne le sue. Era difficile ipotizzare un simile trattamento dopo aver recuperato da un grave infortunio, dopo aver firmato per una stagione ancora a 38 anni e, soprattutto, dopo aver fissato in maniera decisiva le sorti del Milan per un decennio. Il primo campanello d'allarme in estate, quando non viene inserito nella lista Champions: uno stop che gli impedisce di proseguire l'eterno duello con Raul su chi sarebbe stato il miglior marcatore d'Europa dopo aver superato entrambi Gerd Muller. Gli altri a risuonare nel corso della stagione, tra mancate convocazioni, panchine su cui tormentarsi, polemiche neanche velate nei confronti di Allegri. Eppure, come per Muntari, anche per Inzaghi le personali sliding doors si erano aperte a gennaio. Il Siena gli aveva chiesto una mano nella lotta salvezza. Palcoscenico minore ma possibilità di giocare sempre, o quasi: ciò per cui il centravanti è nato. Non è bastato per convincerlo, è bastato invece per l'ironia di Bogdani, scelto al suo posto: "Non si vince con i nomi…". Ma dietro al nome del milanista ci sono una storia vincente e una fame insaziabile. Quella che a Cesena gli fa dire sì ad Allegri quando lo chiama per entrare a tempo scaduto, quella che lo spinge ad arrabbiarsi con un compagno per l'assist mancato all'ultima azione utile. Uno così potrà mai congedarsi anonimamente dal calcio?

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