Copie di fatto

Piero Vietti

“Ci abbiamo messo 160 anni per raggiungere il milione di copie diffuse, ma soltanto sette per arrivare a un milione e mezzo. Ora ci aspettiamo di arrivare a due milioni di copie entro cinque anni”. Questa dichiarazione di Andrew Rashbass, ceo del gruppo editoriale dell’Economist, spiega meglio di tante analisi la globalizzazione della conoscenza o qualcosa di simile, la velocità con cui si muove il mondo delle informazioni e, soprattutto, che c’è un futuro per l’editoria di qualità.

    “Ci abbiamo messo 160 anni per raggiungere il milione di copie diffuse, ma soltanto sette per arrivare a un milione e mezzo. Ora ci aspettiamo di arrivare a due milioni di copie entro cinque anni”. Questa dichiarazione di Andrew Rashbass, ceo del gruppo editoriale dell’Economist, spiega meglio di tante analisi la globalizzazione della conoscenza o qualcosa di simile, la velocità con cui si muove il mondo delle informazioni e, soprattutto, che c’è un futuro per l’editoria di qualità. Il record di vendite del settimanale inglese è stato raggiunto a fine 2011 grazie a 100 mila nuovi abbonati alle versioni digitali a pagamento dell’Economist, che vanno ad aggiungersi al milione e 400 mila lettori della versione cartacea. Numeri ancora molto distanti tra loro, ma che vanno osservati in un contesto più ampio: il 75 per cento dei lettori digitali sono nuovi, mentre il 12 per cento ha abbandonato l’abbonamento alla rivista di carta per passare a quella su computer, tablet o smartphone.

    All’Economist azzardano una previsione molto ottimistica: i due milioni che – secondo le loro stime – leggeranno il settimanale diretto da John Micklethwait tra cinque anni saranno per la maggior parte lettori digitali. Questo perché, ha detto Rashbass, sulle nuove piattaforme si possono sperimentare idee che sulla carta sono impraticabili, e soprattutto perché sempre più lettori scelgono la nuova versione. Numeri e strategie che fanno ben sperare, e che – volenti o nolenti – si impongono ogni giorno di più a direttori ed editori. Il Times di Londra, ad esempio, diciannove mesi fa ha deciso di chiudere il proprio sito ai lettori non abbonati, con conseguente coda di polemiche, crollo di clic on line e dubbi sul possibile successo dell’iniziativa. E’ di qualche giorno fa la notizia, la riportava il Guardian, che gli abbonati alle varie forme digitali del Times sfiorano le 120 mila unità, merito soprattutto della versione per iPad dello storico quotidiano inglese, che ha fatto registrare in soli tre mesi una crescita del 35 per cento del numero di copie acquistate.

    Del New Yorker il Foglio ha già raccontato, con i suoi lettori su tavoletta elettronica sempre più numerosi e il suo direttore convinto che il settimanale della Grande Mela sopravviverà grazie alla sua versione per iPad. Il crescente numero di lettori digitali nuovi, poi, dice anche un’altra cosa: queste piattaforme permettono di raggiungere persone che probabilmente mai si sarebbero sognate di leggere una certa pubblicazione. E’ quello che sosteneva ieri su Twitter il direttore dello Spectator, Fraser Nelson, discutendo con Michael Wolff, biografo di Rupert Murdoch e giornalista esperto di media: “Il digitale, Twitter incluso – scriveva Nelson – ha fatto conoscere lo Spectator a una nuova generazione di lettori, e ora le nostre vendite (da tempo in calo, ndr) stanno crescendo come mai negli ultimi dieci anni”.

    Al momento però la carta vince ancora, almeno nel sentimento dei lettori: secondo una ricerca citata pochi giorni fa da uno dei blogger più attenti al mondo dei giornali e dell’editoria, Pier Luca Santoro (il Giornalaio), la maggior parte dei lettori di giornali e riviste su tablet è insoddisfatta da questo tipo di esperienza, e continua a preferire la versione cartacea. Se giornali e riviste vogliono reinventarsi nel nuovo mondo digitale, il messaggio di questa ricerca sembra essere uno solo: non basta dare lo stesso prodotto presente in edicola su Web o tablet, i lettori vogliono di più. Eppure, in particolare in Italia, è l’atteggiamento conservatore a vincere: salvo qualche rara eccezione, le versioni per iPad dei nostri quotidiani sono la semplice riproposizione del quotidiano in edicola in versione pdf (con qualche video e qualche galleria fotografica): ottima strategia per non perdere vecchi lettori passati al digitale, ma forse un po’ di retrovia per andare a conquistarne di nuovi, non ancora abituati (e le nuove generazioni non lo sono per niente) a vecchi schemi di impaginazione e modi di trattare le notizie. Il futuro dei giornali si gioca su questo crinale, tra vecchio mercato da non deludere e nuovo da conquistare. Vincerà chi saprà soddisfarli entrambi.

    Leggi l'inchiesta Oltre la carta

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.