D'Alema si coccola l'immagine e balla nel valzer dei servizi segreti
Nel Pd la tendenza è descriverlo defilato, isolato, impegnato all’estero con la Feps, Fondazione dei progressisti europei di cui è presidente o in visite da ex ministro degli Esteri in medio oriente, l’ultima ai primi di gennaio. Di Massimo D’Alema la vulgata interna sottolinea una fase di scarsa partecipazione ai giochi come di chi si trovi meglio in un altrove, più in alto.
Il presidente del Copasir, Massimo D'Alema, al termine della lunga audizione con il presidente del consiglio, Mario Monti, ha detto: "Il nostro paese è minacciato dal terrorismo internazionale e dall'eversione interna. Persistono delle code di terrorismo interno legate agli anni Settanta. Sono fenomeni sia legati all'anarco-inserruzionalismo, sia di violenza squadrista e di eversione di destra. La minaccia economica nel senso della speculazione finanziaria e l'aggressione delle nostre principali imprese, la minaccia cibernetica, la minaccia della criminalità organizzata. Con Monti abbiamo parlato di come portare avanti la riforma dei servizi, delle minacce che gravano sul paese e di come migliorare il controllo parlamentare".
Nel Pd la tendenza è descriverlo defilato, isolato, impegnato all’estero con la Feps, Fondazione dei progressisti europei di cui è presidente o in visite da ex ministro degli Esteri in medio oriente, l’ultima ai primi di gennaio. Di Massimo D’Alema la vulgata interna sottolinea una fase di scarsa partecipazione ai giochi come di chi si trovi meglio in un altrove, più in alto. Lui stesso del resto sulla disputa delle ultime ore se Monti sia di destra o di sinistra, se Veltroni abbia sferrato l’attacco alla segreteria di Bersani, se il futuro sia con Monti o senza Monti a Palazzo Chigi, ha preferito tagliar corto. “E’ insensata”, ha dichiarato ieri a margine di un convegno sulla Primavera araba. “Pensiamo a far vincere il centrosinistra alle amministrative”. Punto. Eppure che le cose non siano esattamente quelle che appaiono lo attestavano due diversi fattori: 1) l’intervista in cui Veltroni definiva D’Alema l’unico interlocutore di peso, genere “con lui sì che ci si scontrava sulla politica, se fermare o meno il governo Prodi”, scatenando l’ira del professore, ma rievocando contemporaneamente l’epoca d’oro dei “cavalli di razza” contro il presente bersaniano. E soprattutto 2) il colloquio con Monti a Palazzo Chigi la settimana scorsa. Perché se il tema è chi, oltre a Bersani, parla con il premier tecnico, D’Alema ha segnato un punto: con Monti lui parla in quanto presidente del Copasir. E la sua parola è destinata a pesare nelle nomine, almeno due, che il premier dovrà fare tra breve visto che i vertici dei servizi segreti sono in scadenza. A maggio termina il mandato del capo del Dis, il ruolo apicale; Gianni De Gennaro e il direttore dell’Aisi, l’ex Sisde, Giorgio Piccirillo, entrambi nominati da Berlusconi nel 2008.
La riforma dei servizi varata dal governo Prodi nel 2007 assegna maggiori poteri all’esecutivo ma prevede il rafforzamento parallelo del potere di controllo del Parlamento attraverso il Copasir. Nomine senza l’accordo con il Copasir sono difficilmente sostenibili. E D’Alema alla testa del Copasir, carica che spetta all’opposizione, è riuscito a restarci giocando molto bene le sue carte: ha offerto le dimissioni ai presidenti delle Camere nel momento in cui il Pd è diventato maggioranza. Ha lasciato che fosse il Pdl a scoraggiare le aspirazioni di Maroni in gara in quanto esponente dell’unica forza di opposizione con l’argomento che si sarebbe scatenato un effetto domino sulle altre presidenze di commissione e che la Lega avrebbe dovuto rinunciare a quella della commissione Bilancio affidata a Giancarlo Giorgetti. I presidenti delle Camere hanno poi chiuso la questione ai primi di gennaio confermando D’Alema data la natura tecnica e strana del governo Monti e della maggioranza che lo sostiene. “D’Alema è il più attivo di tutti”, lamentano non in casa, ma fuori, nel Pdl, dove più d’uno accusa Angelino Alfano di non prestare adeguata attenzione al dossier e di lasciare campo libero al centrosinistra. E dove più che nel Pd si temono insieme il potere dalemiano e la tentazione di Monti – che ha tutte le deleghe a differenza del Cav. che le aveva affidate a Letta – di dare un segnale di discontinuità. “Coerentemente con il profilo tecnico dovrebbe confermare i vertici in carica e invece sembra orientato a innovare”, sussurra un parlamentare interessato all’argomento e pronto a scommettere che Gianni De Gennaro difficilmente resterà al suo posto così come Piccirillo. Una fonte governativa osserva che in queste cose “non si sa mai se è l’interessato a voler cambiare posizione o il premier a convincerlo”. A suffragio della tesi si cita il malumore di Monti per l’organizzazione della missione a Tripoli. Un malumore non mascherato in pubblico e attestato dai cronisti al seguito. Diverso il caso del direttore dell’Aise l’ex Sismi, Adriano Santini, l’uomo che fu accompagnato in visita da D’Alema presidente del Copasir da Luigi Bisignani e la cui nomina non è in scadenza.
“Che cosa fa D’Alema? Fa D’Alema”, ammiccava un dirigente del Pd. Citando la teorizzazione della politica come capacità di decisione e anche come gestione del potere fatta dall’ex premier in tempi recenti. La politica contro la sospensione tecnica, obbligata, voluta dal Pd, ma da superare. Anche se il come non è ancora chiaro. A differenza dei bersaniani che non hanno dubbi e tifano Bersani premier, D’Alema pensa senza convinzione alla premiership del segretario. Meglio aspettare e vedere la legge elettorale per esempio se trionferà o meno il modello tedesco che a D’Alema è sempre stato caro. E che impone alleanze e giochi diversi. Nel frattempo meglio attivo a San Macuto e distaccato a Montecitorio: “Quando vengo qui mi viene voglia di ripartire”, ha confidato lasciando ieri sera la riunione del gruppo parlamentare.
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