“Minchiate primarie”

In Sicilia le prove generali della Terza repubblica (u)dc

Salvatore Merlo

“Le primarie sono una gran minchiata”. Chissà se Gianfranco Micciché lo ha detto con la stessa franchezza anche a Silvio Berlusconi, che lo ha chiamato su richiesta di Angelino Alfano e Renato Schifani (“parlaci tu, presidente. Quello ci fa perdere le amministrative a Palermo”). Di sicuro ieri l’uomo con il quale tutti vogliono allearsi in Sicilia lo ha ripetuto, e per l’ennesima volta, al segretario del Pdl; e Alfano, guardandolo negli occhi, ha dovuto ammettere pure lui che sì, forse, in fondo in fondo, in effetti, le primarie del centrodestra si possono non fare.

    “Le primarie sono una gran minchiata”. Chissà se Gianfranco Micciché lo ha detto con la stessa franchezza anche a Silvio Berlusconi, che lo ha chiamato su richiesta di Angelino Alfano e Renato Schifani (“parlaci tu, presidente. Quello ci fa perdere le amministrative a Palermo”). Di sicuro ieri l’uomo con il quale tutti vogliono allearsi in Sicilia lo ha ripetuto, e per l’ennesima volta, al segretario del Pdl; e Alfano, guardandolo negli occhi, ha dovuto ammettere pure lui che sì, forse, in fondo in fondo, in effetti, le primarie del centrodestra si possono non fare. E non si faranno, né in Sicilia né (pare) altrove.

    Ma per il Pdl, che non riesce a riannodare l’alleanza con il proconsole che nel 2001 fece stravincere Forza Italia (salvo poi inanellare una serie di disastri tra cui la nomina di Diego Cammarata a sindaco), il problema resta: non si trova un candidato al comune di Palermo. Il conto alla rovescia per chiudere gli accordi elettorali è già cominciato: tic tac, tic tac. L’impressione è che comunque vada a finire, qualsiasi cosa succeda, sarà Micciché, redivivo e sopravvissuto ai suoi stessi errori, a orientare il risultato e la configurazione di quelle alleanze che nello schema di Pier Ferdinando Casini dovrebbero costituire l’embrione del Partito della nazione (il Terzo polo, con quel che resta del Pdl e con parte dei cattolici del Pd). Un orizzonte che Micciché ieri ha tratteggiato anche ad Alfano, malgrado i due si capiscano poco e si amino anche meno. E il segretario poi lo ha pure ammesso: “Si è parlato della vicenda politica siciliana, ma anche di quella nazionale”. Perché i due piani si tengono, molto più di quanto non possa sembrare. Non ci sono altre elezioni comunali che impegnano così tanto, e direttamente, i leader. La Sicilia come metafora della Terza Repubblica montiana e neodemocristiana. Casini e Gianfranco Fini attendono Micciché oggi a Roma, per la firma decisiva. Probabilmente si incontreranno a Montecitorio, nello studio del presidente della Camera. “Questo patto si sigla adesso”, conferma il finiano Carmelo Briguglio, malgrado Micciché, in realtà, nell’incontro di oggi intenda dispiacere Fini (e compiacere Casini). Ai due soci terzopolisti dirà quello che ha spiegato anche ad Alfano (timoroso di una possibile sconfitta): dobbiamo correre tutti insieme, io, voi e il Pdl. “Micciché non si fa incastrare nella malafigura che forse gli vorrebbero apparecchiare i suoi ex amici”, dice Gianpiero D’Alia, plenipotenziario dell’Udc in Sicilia. “Al contrario lavora a un esperimento, a un’alleanza che possa valere a livello nazionale e con buona pace di Fini e dei suoi luogotenenti, che non sono d’accordo”. L’aspirazione massima dell’Udc è mettere insieme tutti i moderati, anche quelli del Pdl, a sostegno del candidato del Terzo Polo a Palermo. “I finiani non possono restare prigionieri dell’antiberlusconismo, che è, come il berlusconismo, un’epoca ormai passata”, dice D’Alia. Ed è in questo caos, lo stesso che i greci collocavano all’origine dell’universo, fra le nebbie della creazione, che Micciché annoda con Casini i fili del post berlusconismo. Il Partito della nazione, se nasce, nasce infatti a Palermo dove i casiniani sognano anche di vedere inabissato il lungo regno ribaltonista di Raffaele Lombardo, che nel Terzo Polo conta l’appoggio di Fini ma non quello dell’Udc. Il partito di Casini resterà fuori dal governo regionale qualsiasi cosa accada, e anzi punta ad acquisire Micciché per sostituire Lombardo.

    In un angolo remoto, tra le cose non dette (perché ovvie), Casini offre a Micciché il trono di governatore. E il gioco di specchi, la contorsione, è impressionante: Fini tiene Lombardo nel Terzo Polo (e Lombardo tiene il partitino finiano al governo della regione), ma Casini, che non governa in regione, vorrebbe far saltare l’alleanza del suo amico e socio. “Lombardo fa troppe mosse e su troppi tavoli. Per il comune sostiene sia uno dei candidati del Pd sia il nostro”, dice ancora D’Alia. E il capo siciliano dell’Udc rivela così quello schema con il quale Lombardo è riuscito a scombussolare le già confuse primarie del Pd, secondo un paradigma così antico da esprimersi ancora in latino: divide et impera. Mentre lì, nel Partito democratico, con quattro candidati in rissa e minacce di scissione, adesso, molti aspettano il loro Micciché; uno che si alzi in piedi e lo dica chiaro che “le primarie sono una gran minchiata”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.