La Liga di Galan

Peggio del predellino sono solo le tessere di La Russa

Salvatore Merlo

“Il predellino fu un passo funesto. Ci vorrebbe una Liga veneta dentro il Pdl, l’avrei dovuta fare subito, quando Berlusconi iniziava a cedere alle minacce di Bossi, quando gli ha regalato le regioni del nord. Avrei avuto un seguito enorme, allora. Ma anche adesso…”. E Giancarlo Galan ci pensa sul serio al partito territoriale che si separa dal Pdl, coccola l’idea di replicare quello che ha fatto Gianfranco Micciché in Sicilia, lui che, come Galan, è stato un fondatore di Forza Italia.

Leggi "Nel 2013 il Pdl non ci sarà più", parola di Micciché

    Il predellino fu un passo funesto. Ci vorrebbe una Liga veneta dentro il Pdl, l’avrei dovuta fare subito, quando Berlusconi iniziava a cedere alle minacce di Bossi, quando gli ha regalato le regioni del nord. Avrei avuto un seguito enorme, allora. Ma anche adesso…”. E Giancarlo Galan ci pensa sul serio al partito territoriale che si separa dal Pdl, coccola l’idea di replicare quello che ha fatto Gianfranco Micciché in Sicilia, lui che, come Galan, è stato un fondatore di Forza Italia, dunque un uomo dell’azienda, uno dei ragazzi di Publitalia, e in definitiva uno di casa per il Cavaliere. “E’ forte la sensazione che Berlusconi ci abbia lasciato in braghe di tela. Voglio dire che a me Alfano è sempre piaciuto, ma deve trovare autonomia e coraggio. Qua invece fanno congressi e distribuiscono tessere. Roba decotta. Se Berlusconi non tira fuori una delle sue invenzioni ‘da pazzo’ (come quando negli anni Ottanta mi disse che dovevamo metterci a fare concorrenza alla Rai) qua si mette malissimo” e tutto, davvero tutto diventa possibile.

    Micciché ha detto che “il Pdl già non esiste più”, mentre Galan sorride e dice che “tutti i partiti sono morti, nessuno escluso e senza rimpianti”. Le decisioni non si prendono in quelle stanze, c’è un governo nuovo, tecnico, il presidente del Consiglio è Mario Monti e ci sono i poteri finanziari internazionali. “Non contiamo niente”. Alfredo Mantovano, alla Camera, ha un volto teso quando dice che “il Pdl ha bisogno di una opposizione interna”, quando spiega che “se la segreteria resta immobile ci vuole qualcuno che faccia politica”. E a Galan questa idea piace, almeno quanto il sogno forse remoto di costruire un partito veneto alleato e federato con un più grande partito nazionale (il Pdl, se ci sarà ancora). “E’ una bellissima idea. Mi piace. Ma forse è ancora tutto prematuro, stiamo a vedere che succede”. Tutti aspettano le amministrative, tutti le considerano il banco di prova per la tenuta del Pdl e del suo segretario Angelino Alfano (“avesse fatto la metà delle cose per le quali ci si era spellati le mani nel giorno delle sue elezioni”).

    “Ricordo con nostalgia i tempi in cui Maurizio Sacconi lo candidavamo in Basilicata, per tenerlo lontano, perché era una vecchia faccia della Prima Repubblica”, dice Galan. “Oggi mi tocca la tristezza infinita di vedere il Pdl che si occupa di tessere, congressi, apparati”. Ha l’impressione di vivere “la nemesi del Forum di Assago”, che fu la nascita di Forza Italia, “il non congresso” celebrato tra coriandoli e raggi laser, con il Cavaliere – idolo – che calava dall’alto in elicottero, che apriva una festa catodica capace di cancellare il ricordo del politburo acquartierato alle spalle del segretario in grisaglia. “Abbiamo lavorato a vent’anni di berlusconismo per farci comandare, alla fine, dalle tessere di Cicchitto e La Russa” (e qui Galan fa una pausa: “Ora si incazzeranno con me”).

    La riforma della legge elettorale sostenuta anche dal Pdl è proporzionale. “Spero proprio di no. Non eravamo quelli del maggioritario? Mammamia. Abbiamo fallito la rivoluzione liberale per colpa di Tremonti e di Bossi (e di quella litigata assurda con Fini), ma non può finire così”. Le riforme ora le fa Monti. “Dovrebbe essere più coraggioso, per esempio sulle liberalizzazioni. Noi volevamo fare di più”. Ma lui ha riformato le pensioni sul serio (“chapeau”), mentre il Pdl negli ultimi mesi non si è particolarmente distinto sulle liberalizzazioni. “Mi preoccupa quello che si dirà di noi tra vent’anni. Avremmo dovuto spaccare il mondo e invece forse passeremo alla storia per quelli che hanno consegnato l’Italia a Casini”. Anche la riforma elettorale piace molto all’Udc. “Nel Pdl sostengono il proporzionale solo perché hanno paura di perdere le elezioni, perché ‘conviene’, perché permette di restare comunque ‘centrali’. Ma questa è miopia. E’ la logica polverosa del Partito repubblicano, che comandava con l’1 per cento dei voti. Orribile. Il ritorno delle preferenze è il nostro fallimento. Tempo fa la mia paura era di morire leghista, adesso mi rifiuto di morire democristiano (con tutto il rispetto per la vecchia Dc)”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.