Calci paralleli
Il Progetto e l'Aeroplano
Lui non lo ammetterà mai, ma a vedere la classifica si può immaginare la sottile soddisfazione di Vincenzo Montella, asceso con il Catania a un potenziale meno 2 dalla Roma. Quella nuova Roma che pensò bene di congedarlo a giugno, in nome della rivoluzione, degli americani, del brand e dell'immancabile progetto, la parola magica sempre buttata lì per tentare di curare il non emendabile calcio italiano e che, alla fine, si rivela fallace come un piano quinquennale per l'acciaio nell'Unione Sovietica che fu.
Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Vincenzo Montella e Luis Enrique.
Lui non lo ammetterà mai, ma a vedere la classifica si può immaginare la sottile soddisfazione di Vincenzo Montella, asceso con il Catania a un potenziale meno 2 dalla Roma. Quella nuova Roma che pensò bene di congedarlo a giugno, in nome della rivoluzione, degli americani, del brand e dell'immancabile progetto, la parola magica sempre buttata lì per tentare di curare il non emendabile calcio italiano e che, alla fine, si rivela fallace come un piano quinquennale per l'acciaio nell'Unione Sovietica che fu. La colpa di Montella era quella di rappresentare il vecchio (leggi alla parola: Sensi), un assurdo se si pensa che con i suoi 37 anni è oggi l'allenatore ampiamente più giovane in serie A. E uno come lui avrebbe potuto e dovuto rappresentare il futuro. Anche perché, una volta pescato dai Giovanissimi, non aveva fatto malaccio in un ambiente scosso – more solito – da personalismi e gelosie: una squadra rimessa dignitosamente in campo, il sesto posto finale e la vittoria nel derby, che a Roma vale più di uno scudetto. Non è bastato, perché nuovi corsi esigono nuovi volti. Tipo quello di Luis Enrique, tecnico del Barcellona B, che molti nostri allenatori sono andati a studiare, ovviamente dopo aver gettato un'occhiata al lavoro di Guardiola. Come stava per fare anche Montella, se quel 21 febbraio non lo avessero chiamato al posto del dimissionario Ranieri.
Ma l'asturiano era (ed è) considerato l'uomo ideale per proiettare la Roma in una dimensione vincente nel terzo millennio. Un “progetto” che la società si è poi trovata costretta a difendere a ogni passo, per non smentirsi. Incassando sberle (l'eliminazione estiva dei ragazzini in Europa League), tentativi di rottamazione delle icone (il rapporto tormentato con Totti), pugni di ferro per non venir meno ai piani prestabiliti. Scelte che possono andar bene quando si tratta di punire Osvaldo per lo schiaffo rifilato a Lamela, ma che agitano più del dovuto quando si tiene fuori De Rossi per un ritardo alla riunione tecnica (per di più malamente giustificato con un "Daniele non era pronto") e si viene sbeffeggiati dall'Atalanta. Montella, invece, il suo progettino se lo coltiva a Catania. Qui le idee sono chiare, senza la presunzione di autocelebrarsi: il recente centro sportivo di Torre del Grifo è un esempio per il sud e gli allenatori sono scelti giovani. Non sempre è finita bene, Montella sta andando oltre le aspettative di chi lo considerava un raccomandato in estate. Poche parole, tante idee e la capacità di adattare la squadra a ogni situazione, rimettendosi al lavoro anche quando gli tolgono titolari come Andujar e Maxi Lopez. Può andar male (vedi le ampie sconfitte contro Milan e Juventus), può andar bene (vedi le vittorie con Inter, Napoli e Palermo, un derby che vale come quello di Roma). Potrebbe andare benissimo, vista la classifica: per la squadra e per il tecnico. Gli hanno dato due anni di tempo, per disegnare il Catania, lui potrebbe salutare prima. Ma non per tornare a Roma, incrociandosi nuovamente con Luis Enrique, che il Barcellona rivorrebbe, stavolta per la prima squadra. Napoli piuttosto, dove Montella è (quasi) nato e dove però non ha mai giocato. Dove De Laurentiis vuole volare alto, ed è più facile farlo con un Aeroplanino.
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