Gli indizi per capire se Putin ha convinto la classe media

Luigi De Biase

L’ultima protesta anti Putin s’è vista domenica pomeriggio nel centro di Mosca: migliaia di persone sono scese in strada e hanno formato un cerchio largo dieci chilometri, una trovata abbastanza originale per ricordare agli uomini del Cremlino che l’opposizione esiste, è molto pacifica ma esiste. A cinque giorni dalle elezioni presidenziali, pochi mettono in discussione il successo del primo ministro, Vladimir Putin, l’unico, vero candidato di questo voto.

    L’ultima protesta anti Putin s’è vista domenica pomeriggio nel centro di Mosca: migliaia di persone sono scese in strada e hanno formato un cerchio largo dieci chilometri, una trovata abbastanza originale per ricordare agli uomini del Cremlino che l’opposizione esiste, è molto pacifica ma esiste. A cinque giorni dalle elezioni presidenziali, pochi mettono in discussione il successo del primo ministro, Vladimir Putin, l’unico, vero candidato di questo voto. Il problema è stabilire quante preferenze riuscirà a conquistare, se si fermerà al 66 per cento previsto dai sondaggi del Levada Center o sfonderà la quota del 70. Neppure quelli del cerchio di Mosca (lo hanno chiamato “grande cerchio bianco”) credono che esista un’alternativa, almeno per il momento. “Il risultato delle elezioni è già fissato e Putin vincerà”, dice Olga, un’insegnante sulla cinquantina che si stringe nel cappotto al freddo di febbraio. I più fiduciosi pensano che Putin farebbe meglio a festeggiare adesso, perché non ci saranno altri successi in futuro. Questa è la barra dell’ottimismo.

    Le grandi manifestazioni sono cominciate a dicembre, dopo che Putin e il suo delfino, il presidente Dmitri Medvedev, hanno annunciato quel che molti russi sospettavano da tempo, ovvero lo scambio di cariche fra le autorità più importanti del paese: Putin di nuovo al Cremlino e Medvedev alla guida del governo. La prima parte dell’accordo è già stata rispettata, ma la seconda pare in bilico. L’opposizione non ha ancora un candidato credibile per disturbare il tandem e gli analisti hanno chiarito i due grandi difetti di questo movimento. Uno riguarda la distribuzione della protesta, che si è svolta soprattutto a Mosca e non ha toccato quasi per niente le altre città del paese. L’altro è nella fibra: in piazza sono scesi soprattutto i giovani universitari, i professionisti della borghesia e quelli che in Russia chiamano “plancton d’ufficio”, ovvero impiegati e manager delle classi agiate.

    Il non detto sulla Russia
    Forse il movimento non rappresenta ancora un pericolo sul piano elettorale, ma questo non significa che il problema non esista. La borghesia è stata per anni la prova diretta che la dottrina Putin funziona. Alla fine degli anni Novanta, quando il presidente ha cominciato la propria ascesa al potere, il paese non attraversava certo il proprio momento migliore: l’esercito aveva lasciato il Caucaso alle milizie cecene e le riforme dell’economia avevano svuotato le casse dello stato. Sembra passato un secolo da allora.

    La Russia di oggi è il paese europeo che conta più accessi a Internet, ci sono 225 milioni di telefoni cellulari e il 10 per cento della popolazione è stato almeno una volta all’estero. “Per i russi sotto i 35, gli anni Novanta assomigliano a un mito, a qualcosa come Ivan il Terribile”, spiega il direttore del centro studi Vtsiom, Valeri Fyodor. Proprio quelli, i giovani puliti, educati e ben vestiti dei grandi centri urbani mostrano segni d’insofferenza nei confronti del putinismo.

    La stampa russa è piuttosto scettica di fronte alle loro domande. Ria Novosti ha pubblicato un identikit del manifestante tipo che è davvero poco lusinghiero: sciarpa con il logo di una scuola prestigiosa, abiti alla moda, iPhone, iPad e iPod nelle tasche dello zaino. Insomma, per alcuni è come se la protesta fosse un raduno di fighetti. Si tratta di una critica fondata, ma le cose non sono così semplici. Le manifestazioni degli ultimi mesi hanno trascinato in strada gente che sinora si è occupata poco di politica, giovani che non sono cresciuti nei circoli dei nazionalisti e non hanno nulla a che fare con i comunisti, i due grandi blocchi dell’opposizione russa. Al governo chiedono di completare quel che sinora è rimasto in sospeso, perché Putin non ha ancora portato a termine il grande piano cominciato dieci anni fa.

    La Russia sembra una potenza economica, ma il flusso degli investimenti stranieri è in discesa; pare una democrazia compiuta, ma ogni elezione coincide con accuse di brogli e irregolarità; vorrebbe essere una nazione europea, ma schiva gli accordi con l’occidente sui grandi dossier internazionali; cerca di superare la dipendenza dal petrolio, ma è sul greggio che punta per sostenere lo sviluppo. Per questa ragione la protesta riguarda la classe media più delle grandi masse: è la classe media che avverte di più gli equivoci della Russia incompiuta.

    L’ansia di Surkov
    Uno dei consiglieri più fidati di Putin, l’ideologo Vladislav Surkov, ha ben presente le dimensioni del problema. Così, quando i colletti bianchi di Mosca hanno cominciato a gonfiare le piazze della città, ha detto che servirebbe un grande partito liberale per risolvere il problema delle “comunità urbane arrabbiate”. Putin ha offerto loro una tregua, scrivendo nel programma elettorale che i salari di medici, impiegati e insegnanti aumenteranno del 200 per cento da qui al 2018. Il futuro presidente, tuttavia, non ha spiegato quali risorse saranno usate per coprire l’impegno. Secondo Thomas Friedman, columnist del New York Times, è come se Putin e il paese vivessero in due epoche diverse: il leader è rimasto più o meno quello di dieci anni fa, pensa che la stabilità sia il fine ultimo della Russia, ma là fuori le cose sono cambiate. La borghesia si agita, vuole le riforme, mette in discussione senza timore il sistema di potere costruito dal presidente. “Nessuno avrebbe mai immaginato di vedere un grande cartello con la scritta ‘Putin vattene’ proprio di fronte al Cremlino – ha scritto Friedman – Eppure è accaduto”. Surkov ha preso in prestito un vecchio monito francese per spiegare quel che potrebbe succedere: la stabilità divora i suoi figli, ha detto di recente. Proprio come la rivoluzione ai tempi di Robespierre.