Valle estrema
Quel montanaro arcaico che sfida la ragion di stato (e l'elettricità)
Sono qui, mi sono arrampicato sul traliccio che sta sulla strada che porta alle vasche, a una trentina di metri dalla baita. Loro stanno tutti attorno alla baita, ci sono decine di fermati ma non vedo violenze, non c’è tensione. Sono riuscito a svicolare da decine di poliziotti che ora mi guardano attoniti, gliela ho fatta ancora una volta sotto il naso. Sospeso a dieci metri dal suolo, proprio all’altezza dei cavi. Luca Abbà, uno dei leader dei No Tav, parla in diretta con Radio Black Out.
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Sono qui, mi sono arrampicato sul traliccio che sta sulla strada che porta alle vasche, a una trentina di metri dalla baita. Loro stanno tutti attorno alla baita, ci sono decine di fermati ma non vedo violenze, non c’è tensione. Sono riuscito a svicolare da decine di poliziotti che ora mi guardano attoniti, gliela ho fatta ancora una volta sotto il naso. Sospeso a dieci metri dal suolo, proprio all’altezza dei cavi. Luca Abbà, uno dei leader dei No Tav, parla in diretta con Radio Black Out. Lo sentiamo che si rivolge con molta calma ai poliziotti, se non la smettete sono pronto e disponibile ad appendermi ai fili della corrente. Qualche minuto dopo precipiterà al suolo folgorato: ora è in coma farmacologico, tra la vita e la morte. C’è qualcosa di tenero e disperato, qualcosa come una fede incrollabile, in questo uomo di 37 anni nato a Cels, frazione di Exilles e figlio pur sucre della Val di Susa. Qualcosa di antico, che tiene all’attaccamento alla terra che coltiva con tecniche biologiche e alla montagna di cui conosce ogni pietra, ogni anfratto. Quando l’interlocutore alla radio gli chiede se arrivando alla baita abbia visto per caso posti di blocco in modo da mettere in guardia gli altri militanti invitati ad accorrere per fare pressione sulle forze dell’ordine, risponde di no, che non sa nulla, non ha visto nessuno. Semplicemente perché non ha fatto la solita strada ma un sentiero tutto suo, sai la montagna è grande. E madre. Come lo è per il padre nato nella casa dove Luca abita e prima ancora per i nonni che nella stessa casa sono morti. Avrà pure geni ribelli, Luca Abbà, sarà pure uno che ha aperto gli occhi di piombo su ’sta vita e da allora sogna, pericolosamente, altre vite e altri mondi. Forse.
Quello che è certo è che sente il tunnel dell’Alta velocità come una minaccia, come un’invasione del suo mondo, del solo mondo reale che conosce. Per questo è irriducibile ai ricatti emotivi, al fascino oscuro di chi agita l’interesse generale. Né lo si può comprare con promesse di indennizzi in denaro: i soldi semmai li tira fuori lui, dalle sue tasche, per comprare insieme a una ventina di militanti terreni vicini al tracciato in modo da rallentare ulteriormente gli espropri. Che non riesce però a fermare: lo stato non può più permettersi tentennamenti in una querelle che dura da anni e in cui ognuno ha avuto ampiamente tempo e occasione per dire la sua. Dopo un estenuante palleggio di responsabilità, le istituzioni locali e nazionali hanno deciso e se tornassero indietro perderebbero la faccia in modo clamoroso. D’altronde non è colpa di un destino cinico e baro se in Italia non ci sono forti movimenti ecologisti né leader di vaglia che sappiano convincere la maggioranza dell’opinione pubblica. E, senza politica, lo stato è costretto ad affidarsi al gesto d’imperio, alle ruspe. E a “rocciatori in divisa” cui si ordina di salire sul traliccio per far scendere il giovane uomo pazzamente pronto a tutto pur di difendere la Val di Susa. E la sua montagna.
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