Sono i ragazzi di piazza Bolotnaja i putschisti, Putin dà stabilità
Sono a Mosca per seguire questa campagna elettorale e noto un’atmosfera davvero insolita. Non mi riferisco tanto alle simpatiche iniziative dell’opposizione, sempre spettacolari e mediatiche, come l’ultimo girotondo, tutti per mano in un grande cerchio intorno alla città.
Al direttore – Sono a Mosca per seguire questa campagna elettorale e noto un’atmosfera davvero insolita. Non mi riferisco tanto alle simpatiche iniziative dell’opposizione, sempre spettacolari e mediatiche, come l’ultimo girotondo, tutti per mano in un grande cerchio intorno alla città. Ma proprio all’attesa, febbrile, delle urne di domenica. Il voto di dicembre per la nuova Duma fu un rito burocratico, di apparati, celebrato nel disinteresse del paese. Tre mesi dopo, la vigilia è elettrica, come se fossimo in presenza di un momento storico gravido di conseguenze.
A prima vista ciò è incomprensibile, dato che l’esito non è in discussione: l’ultimo sondaggio, di pochi giorni fa (Istituto Levada, indipendente) dà Putin al 66 per cento – un recupero prodigioso dai mediocri gradimenti di dicembre. Cosa è successo? E’ successo che il famoso movimento di piazza Bolotnaja, che tanto ha sedotto, da noi, le anime semplici, qui in Russia ha improvvisamente suscitato, nelle viscere del paese, un’inquietudine sottile ma profonda. Dovuta a una constatazione elementare: l’opposizione, oggi come oggi, può vincere solo con metodi non democratici – con la spallata della piazza, non con le elezioni, dove non andrebbe oltre il 5 per cento. Suscitando un brivido gelido, è passata sul paese l’ombra della “rivoluzione”, ombra sinistra che qui vuole dire soprattutto caos e sangue.
Su questo sentimento di improvvisa insicurezza, Putin ha efficacemente impostato la sua campagna. E ha avuto gioco facile a ricordare che il paese, con lui, ha conosciuto un decennio di stabilità e benessere quale mai nella sua lunga storia. Tuttavia qui non si tratta solo dell’indubbia energia e abilità politica dell’uomo. Si tratta del fatto che si è mobilitato – e non succede spesso, dato che è gente tranquilla – anche il suo popolo: intellettuali, artisti, scienziati, élite di vario genere non stanno mica solo con l’opposizione. E’ tutta gente che ha un sentimento non banale, tragico, della storia del proprio paese e sa che, se si apre uno spiraglio alla “rivoluzione”, le conseguenze possono essere catastrofiche.
Il culmine di questa mobilitazione è stato l’incontro, organizzato dal patriarca Kirill, tra Putin e i rappresentanti delle quattro confessioni religiose ufficialmente riconosciute (ortodossi, islamici, ebrei, buddisti), in cui il patriarca ha dato il proprio esplicito sostegno a Putin (gli altri tre hanno fatto lo stesso). La questione religiosa non è senza importanza: la piazza è secolarizzata, è contraria all’ora di religione nelle scuole (Putin l’ha promessa), disprezza antropologicamente la Russia “bigotta e arretrata”. La balla che è circolata sui nostri giornali – la chiesa ortodossa prende le distanze da Putin – è pura disinformazja (un problema serio per le notizie dalla Russia, sempre a senso unico).
Ecco, è il rinnovarsi improvviso, drammatico, di questa contrapposizione – tra una Russia profonda, tradizionalista, moderata, e una minoranza intellettuale radicalizzata – che ha fornito uno dei motivi fondamentali sotterranei della campagna elettorale e ha spinto alla mobilitazione. Per di più, la gente sente che, nella strategia dell’opposizione, il voto del 4 marzo sarà solo la tappa di un processo di logoramento, di spallate successive, destinato a far cadere il “tiranno” prima della fine del mandato: è cioè una strategia che punta sulla crisi. Per questo è forte la spinta a votare e a far sì che l’elezione si risolva al primo turno, con una legittimazione netta (anche se si sa già che, comunque vada, l’opposizione parlerà di brogli, per continuare a gettare benzina sul fuoco).
Insomma, caro direttore, per farla breve, sembra a me che, nell’attuale scontro, l’opposizione extraparlamentare rappresenti la tradizione rivoluzionaria, idealista, forse moralmente integra ma putschista (a fin di bene, s’intende), occidentalista, secolarizzata, generosa ma irresponsabile, di questo paese. Mentre Putin ne rappresenta oggi la tradizione statalista, riformatrice, gradualista, moderata (e dunque democratica). Non a caso il suo riferimento storico più frequente è a quel Petr Stolypin, ministro riformatore dello zar Nicola II, ucciso nel 1911 dalla pistola di un giovane terrorista: poi, per la Russia, fu il disastro. Se tutto andrà bene, tra 10-15 anni, i simpatici ragazzi di piazza Bolotnaja (come dopo il maggio francese) saranno ai posti di comando nella società – ma oggi in Russia, per la stabilità e la democrazia, è meglio un De Gaulle.
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