Unicredit tricolore
Rampl è stato sfiduciato anche dai fondi stranieri
Nessuna reazione negativa ieri in Borsa dopo la notizia che non sarà più Dieter Rampl il presidente di Unicredit. “Non sono disponibile a un nuovo mandato”, ha fatto sapere due sere fa, dopo il consiglio di amministrazione, il tedesco che ha presieduto per sette anni il gruppo di Piazza Cordusio. In verità Rampl ha compreso che la fiducia di soci piccoli e grandi della banca era evaporata e quindi ha preferito ringraziare e salutare.
Nessuna reazione negativa ieri in Borsa dopo la notizia che non sarà più Dieter Rampl il presidente di Unicredit. “Non sono disponibile a un nuovo mandato”, ha fatto sapere due sere fa, dopo il consiglio di amministrazione, il tedesco che ha presieduto per sette anni il gruppo di Piazza Cordusio. In verità Rampl ha compreso che la fiducia di soci piccoli e grandi della banca era evaporata e quindi ha preferito ringraziare e salutare. Gli investitori non hanno battuto ciglio, anzi. A Piazza Affari ieri il titolo è salito fino al 4 per cento, chiudendo con un più 1,7 per cento. E’ stato anche l’effetto della seconda iniezione di liquidità della Banca centrale europea alla quale hanno attinto per 100 miliardi gli istituti italiani (Unicredit per circa 12,5 miliardi di euro). Per gli analisti di Intermonte, il passo indietro di Rampl “non era inatteso”.
Sugli enti creditizi, che fanno perno sul vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, ieri analisi e retroscena dei quotidiani hanno indugiato. La lettura prevalente è stata la seguente: “Le fondazioni rafforzano la presa”. Tutto vero? Certo, l’uscita di scena di Rampl è avvenuta anche dopo una riunione proprio con i maggiori esponenti delle fondazioni azioniste, come la torinese Crt rappresentata dal presidente, Andrea Comba, da Cariverona presieduta da Paolo Biasi e dalla bolognese Carimonte. Ma è proprio vero che sono stati soltanto gli enti a determinare il defenestramento di Rampl? E davvero gli attriti si sono incentrati su una diversa idea di governance? “Rampl – ha scritto ieri Giovanni Pons su Repubblica – da qualche tempo stava facendo campagna elettorale per se stesso, facendo capire di volere un organo consiliare più snello e con un maggior profilo internazionale. Con un board da 20 a 17 o a 15 componenti”. Questo perché la governance non funzionava, era la versione di Rampl. Ma se la governance non funzionava, forse non funzionava neppure la presidenza? A questa domanda il cda e gli azionisti hanno risposto affermativamente. “Rampl voleva rimanere con maggiori poteri, si è candidato e ha perso”. Così sintetizza l’esito della vicenda un banchiere defilato ma al corrente di tutta la vicenda.
Solo le fondazioni hanno sfiduciato il presidente tedesco? La questione è più articolata. Innanzitutto ha avuto un peso anche la parola degli imprenditori italiani che hanno investito nell’aumento di capitale come Diego Della Valle, Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio. Ma bastavano solo i soci italiani in un gruppo internazionale come Unicredit a poter decretare la mancata riconferma di Rampl? E’ significativo che a sfiduciare di fatto il presidente tedesco sia stato anche il rappresentante dei libici in consiglio. Certo, in questo caso ha inciso nel giudizio dei libici il ruolo che Rampl ha avuto nel dimissionamento dell’ex amministratore delegato, Alessandro Profumo, accusato di aver sollecitato la crescita del fondo e della Banca centrale di Tripoli in Unicredit all’insaputa di Rampl, sostenne all’epoca il presidente tedesco convincendo poco sulla sua posizione.
Il ruolo di austriaci e Banca d’Italia
In verità a determinare l’addio di Rampl a Piazza Cordusio sono stati anche i fondi esteri. In primis gli arabi di Aabar, primo socio con il 6,5 per cento. E il fondo americano BlackRock? “Per darsi una risposta, basta guardare come ha chiuso ieri il titolo Unicredit”, dice sibillino ma non troppo un analista informato dei fatti. “E poi – si chiede retoricamente un banchiere di lungo corso che non gravita nella galassia Unicredit – si può prendere una decisione del genere senza aver avuto il via libera dell’occhiuta e onnipresente Banca d’Italia?”.
D’altronde con la ricapitalizzazione riuscita da 7,5 miliardi, vanto della gestione dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni, non sono emersi nuovi soci tedeschi, nonostante lo standing di Rampl. E pure i soci austriaci di Munich Re, secondo indiscrezioni non confermate, si erano nel frattempo defilati sulla riconferma del presidente teutonico. “Tra le ragioni che hanno raffreddato i rapporti con il banchiere – ha titolato ieri in prima pagina il quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Osvaldo De Paolini – anche la pressoché totale assenza di investitori tedeschi a supporto dell’ultimo aumento di capitale”.
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