Evviva Pupo, che sa cadere, rialzarsi e scrivere pure romanzi a chiave

Lanfranco Pace

Ebbene sì, evviva Pupo. Pupo, il cantante e autore di cui sotto la doccia o mentre ci facciamo la barba canticchiamo “Sarà perché ti amo”, “Un amore grande”, “Su di noi”: come diceva Mario Soldati, le belle canzoni, le grandi canzoni sono solo quelle che ci vengono in mente in bagno. Pupo, cui perdoniamo persino le frequentazioni real-dinastiche, perché nei lontani anni Ottanta in una partita di chemin de fer chiamò banco, centocinquanta milioni, contro Leopoldo Pirelli.

    Ebbene sì, evviva Pupo. Pupo, il cantante e autore di cui sotto la doccia o mentre ci facciamo la barba canticchiamo “Sarà perché ti amo”, “Un amore grande”, “Su di noi”: come diceva Mario Soldati, le belle canzoni, le grandi canzoni sono solo quelle che ci vengono in mente in bagno. Pupo, cui perdoniamo persino le frequentazioni real-dinastiche, perché nei lontani anni Ottanta in una partita di chemin de fer chiamò banco, centocinquanta milioni, contro Leopoldo Pirelli: non si è mai pentito e questo gli vale empatia da chiunque si sia fatto stregare, straziare e divorare dal tappeto verde.

    Pupo, di cui vidi per caso una sera su RaiTre un’autobiografia in più puntate che mi colpì per il suo mettersi completamente in gioco, con leggerezza, raccontando il suo lungo triangolo sentimentale, parlando delle figlie avute dentro e fuori dal matrimonio e irritando massime i depositari del tartufismo nazionale. Pupo dunque che è caduto più volte e più volte si è rialzato, e a cinquantasei anni suonati non pensa affatto a ritirarsi, vorrebbe essere di ogni Festival che Dio manda in terra e all’ultimo ha tenuto botta a Morandi e a Celentano per poi andare a dispiegare l’ugola contro quell’altro monumento nazional-popolare che è Al Bano.

    Viva Pupo, che da Enzo Ghinazzi ci dà un romanzo a chiave, “La confessione” (Rizzoli ), in cui si toglie sassolini anzi pietre aguzze e mette in scena qualche suo fantasma, non ultimo quello della morte e di immaginare il dolore di coloro che lo hanno amato. Lo fa con infantile impudicizia, con i congiuntivi al posto giusto e la consecutio dei tempi come la insegnavano a scuola quando ancora si studiava la lingua italiana. Va da sé che si può anche resistere all’impulso di leggerlo, più o meno come avviene con tutti i romanzi italiani contemporanei. Sui quali però quello di Pupo ha un vantaggio: avvince come un romanzo americano di genere e una volta cominciato non è facile smettere. C’è un plot, una trama costruita sul voyeur che abita in noi, sull’affamato di pettegolezzi che vuole assolutamente sapere di chi si parla e si sparla e quali volti del potere nascondano le maschere. “Il corpo senza vita di Enrico Bertini in arte Chico era riverso sul parquet della suite 606, quella che l’Hotel Royal di Sanremo riserva esclusivamente agli ospiti più importanti…”: un’ammazzatina così a poche ore dalla serata conclusiva del Festival, chi dice che non gliene frega niente di sapere come va a finire, di scoprire chi ha ucciso Chico e perché, o mente o è uno dei fessi che per fare chic dicono che la televisione non la guardano, anzi non ce l’hanno nemmeno.

    L’italiano è culturalmente popolare e di massa, non può quindi rinunciare al piacere di dare calci negli stinchi importanti, di critici musicali che credono di essere autorevoli perché portano il doppio cognome, di fanciulle che non hanno altri talenti se non la loro generosa bellezza, della schiera pavida e vorace di dirigenti del servizio pubblico che ogni anno vediamo in prima fila all’Ariston. Allora la domanda è: chi sarà mai davvero Angelo Rosai, amministratore delegato, carica che come si sa esiste solo nei progetti più arditi del preside del Consiglio? Di fatto è principio e fine, sintesi e surrogato, del fiume “de mierda” della lottizzazione, dai gloriosi giorni democristiani a quelli delle mutande pazze fino al tempo presente in cui si governa con il bilancino perché non solo partiti e correnti ma anche gruppi, famiglie e sottogruppi hanno diritto a essere rappresentati.

    Alla foce del fiume c’è Mazza nel senso di Mauro di cui i bene informati sanno che è la bestia nera di Chico nel senso di Pupo. Il giornalista nominato direttore del Tg2 in quota ex An e passato alla testa della rete ammmiraglia fece fuori Pupo dalla conduzione di “Reazione a catena”, il preserale estivo che aveva lanciato e portato al successo. Mazza scelse un altro conduttore per così dire vicino di scuderia. Avvenimenti normali in un mondo di coltelli e veleni, di cui Enzo Ghinazzi fa ancora parte e dice che forse dimentica ma non perdona. Anche per questo coraggio in vita, que viva Pupo.

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.