Tre palle, un soldo
Il decreto liberalizzazioni non basta per la crescita. Alcune considerazioni
Che guaio, generalizzare. Che errore, enfatizzare. Intorno al decreto liberalizzazioni, su cui ieri il governo ha incassato il sì del Senato avendo messo (impropriamente) la fiducia, si è aperta la gara a chi sbaglia di più. Sbagliato è stato ingigantire la portata di questi interventi, dandogli un valore salvifico che non hanno e facendo credere che essi genereranno automaticamente sviluppo.
Che guaio, generalizzare. Che errore, enfatizzare. Intorno al decreto liberalizzazioni, su cui ieri il governo ha incassato il sì del Senato avendo messo (impropriamente) la fiducia, si è aperta la gara a chi sbaglia di più.
Sbagliato è stato ingigantire la portata di questi interventi, dandogli un valore salvifico che non hanno e facendo credere che essi genereranno automaticamente sviluppo – quando invece, al massimo, predispongono un ambiente favorevole alla crescita, ma non la determinano – così come è stato un errore, dovuto alla fretta, selezionare alcuni obiettivi, invece di affrontare organicamente l’intera materia. Ma è anche una sciocchezza l’idea che il decreto vada giudicato nel suo insieme, distinguendo ideologicamente tra chi è pro (liberalizzatore) e chi è contro (conservatore, dirigista), quando invece la diversità delle norme dovrebbe indurre a esaminarle in dettaglio senza appiccicare etichette. Anche questa rappresentazione di un “assalto delle lobby” che condiziona il Parlamento, come se la rappresentanza trasparente degli interessi (leciti) non sia legittima e la presenza di gruppi di pressione un’espressione di democrazia, rende epocale ciò che in realtà è piuttosto banale. Inoltre, se ogni interesse è rappresentato, il sistema funziona perché ci sono lobbisti che spingono in direzioni opposte – spetta poi al Parlamento tener conto o meno delle loro tesi, e agli elettori giudicare – e accomunarli come se fossero i “cattivi” che condizionano e corrompono, mentre i “buoni” sono coloro che sono sempre e comunque favorevoli, mi sembra una scelta fessa.
Così, per colpa di queste generalizzazioni manichee, una iniziativa come il “professional day” che ieri ha unito il milione e mezzo di liberi professionisti che operano in diversi settori in tutta Italia, prima è stata presentata come la rivolta dei privilegiati, sulle barricate per opporsi a norme che giustamente limavano le unghie ai loro porci interessi, poi, dopo che il governo ha accolto alcune delle loro obiezioni e richieste, è diventata la manifestazione della vittoria degli interessi particolari su quelli generali.
Ora, può darsi che alcune modifiche che il governo ha accettato (o subìto) siano peggiorative, dal punto di vista dei cittadini-consumatori e del sistema economico nel suo insieme. Ed è giusto criticare questi eventuali passi indietro. Ma allo stesso modo, è possibile che tra le norme proposte dal governo ce ne siano alcune inutili, cervellotiche o addirittura dannose. Si può dirlo senza passare per difensori dei peggiori vizi italici? Per esempio, se si decide che tutte le Srl e le Spa sotto una certa dimensione passano da tre a un sindaco revisore dei conti, si danneggia sì i commercialisti – che è naturale che protestino – ma più ancora si rischia di abbassare i livelli di trasparenza e controllo delle società, e di indurre anche i grandi imprenditori a usare solo Srl, cosa che certo non aiuta il superamento del nanismo del nostro capitalismo.
Dirlo è partigianeria o, peggio, lobbismo occulto? Oppure, al contrario, è cedimento di un governo imbelle aver preso atto che nella norma che stabilisce la possibilità che gli studi professionali si trasformino in società di capitali è opportuno mettere un tetto (si è scelto il 33 per cento) alle quote dei soci non professionisti? Io penso sia buon senso. E per quale ragione dovrebbe essere considerata “indebita” la pressione fatta dall’Abi, attraverso le dimissioni del suo comitato di presidenza, perché sia cancellata la norma sulle commissioni bancarie che impone “prezzi amministrati”? Solo perché fa consenso far vedere che si è contro i banchieri? E perché le banche sono “cattive” quando pretendono di fare profitti – magari per distribuirli a centinaia di migliaia di piccoli azionisti – e sono “normali”, non degni di nota, quando firmano (per la seconda volta in poco tempo) la moratoria sui debiti delle pmi?
Dagli al libero professionista
Ma il vero pericolo, al di là dei definitivi contenuti del decreto, credo stia nella strisciante criminalizzazione di un ceto, quello dei liberi professionisti, che viene dipinto non come chi produce il 15 per cento del pil, bensì come un’accolita di ricchi furbastri che si sono trasformati in lobbisti corruttori (morali se non materiali) solo perché si sono permessi di dire la loro opinione su alcuni provvedimenti che li riguardano.
Dario Di Vico, sul Corriere della Sera, ha ben descritto in diversi articoli il contrasto tra il valore socio-economico del professionalismo e il giudizio che su di esso viene alimentato. E ha giustamente richiamato la necessità, invece, di valorizzare questo pezzo di borghesia ai fini della modernizzazione del paese. Non so se il “professional day” di ieri sia servito a questo, ma certo è stato un segnale significativo che un governo forte e un sistema politico lungimirante farebbero bene a cogliere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano