Istituti irritati

Michele Arnese

Attaccate dagli imprenditori, sbeffeggiate dai consumatori, criticate dalla stampa, le banche italiane hanno deciso di protestare contro il governo e presto apriranno un pubblico fronte polemico con i regolatori, ovvero la Banca d’Italia. Il giorno dopo l’annuncio del vertice dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, di dimettersi contro la norma inserita nel decreto liberalizzazioni che abolisce di fatto le commissioni sui prestiti, la posizione dell’Abi presieduta da Giuseppe Mussari ha trovato il consenso dell’Udc di Pier Ferdinando Casini e la freddezza del premier Mario Monti

    Attaccate dagli imprenditori, sbeffeggiate dai consumatori, criticate dalla stampa, le banche italiane hanno deciso di protestare contro il governo e presto apriranno un pubblico fronte polemico con i regolatori, ovvero la Banca d’Italia.
    Il giorno dopo l’annuncio del vertice dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, di dimettersi contro la norma inserita nel decreto liberalizzazioni che abolisce di fatto le commissioni sui prestiti, la posizione dell’Abi presieduta da Giuseppe Mussari ha trovato il consenso dell’Udc di Pier Ferdinando Casini (“La norma sulle banche è una follia allo stato puro. Non è tempo di demagogia. La cambieremo”) e la freddezza del premier Mario Monti: “Senza entrare nel merito, non mi sembra che le banche abbiano considerato morbida l’azione del governo”.

    Ma anche dopo la seconda iniezione di liquidità della Bce con prestiti triennali all’uno per cento, alla quale le banche italiane hanno partecipato chiedendo 139 miliardi di euro, resta inevasa una domanda: le banche con queste risorse a buon mercato, oltre a comprare titoli di stato o rimborsare le proprie obbligazioni bancarie, allenteranno la stretta del credito che sta colpendo cittadini e imprese?

    I banchieri italiani da tempo covano una risposta ufficiale che, però, implicherebbe una critica alla Banca d’Italia. Ma per diplomazia preferiscono glissare. Infatti studi interni all’Abi certificano che a penalizzare i clienti delle banche italiane è anche la regolamentazione vincolistica dettata dall’Istituto centrale ora governato da Ignazio Visco e prima da Mario Draghi.

    Proprio sulla disparità concorrenziale fra banche italiane, francesi, tedesche e inglesi, in un recente seminario a porte chiuse a Milano, si è concentrato il direttore centrale dell’Abi, Gianfranco Torriero. Lo scenario in cui operano le banche – ha spiegato Torriero, a capo della direzione strategie e mercati finanziari dell’Abi, davanti a professori del calibro di Roberto Ruozi, Francesco Cesarini, Paolo Maria Mottura e Stefano Caselli – si compone di più aspetti.

    Gli istituti devono fronteggiare una contenuta crescita dell’economia e dell’attività creditizia, tassi e margini storicamente bassi, peso rilevante dei crediti deteriorati. Più che uno scenario, un cortocircuito, secondo i banchieri: l’aumentato dello spread tra Btp e Bund ha accresciuto il costo della raccolta, quindi è aumento il costo del credito e ciò ha contribuito a ridurre la crescita con ulteriori problemi di finanza pubblica. Torriero si è però chiesto se e quanto la regolamentazione bancaria influisca sull’erogazione del credito. Un’elaborazione dell’Abi sui rapporti annuali delle banche in Europa si è concentrata sul rapporto tra patrimonio e RWAs (le attività ponderate per il rischio), ovvero il rapporto fra il patrimonio di vigilanza (cioè il capitale degli istituti) e le diverse attività delle banche, tra cui i prestiti. Il rapporto indica la quota di patrimonio che gli istituti devono avere per poter finanziare imprese e cittadini.

    Dalla ponderosa mole di dati svelata dal direttore strategie e mercati finanziari dell’Abi nel seminario organizzato dall’Adeimf, l’associazione che riunisce i docenti universitari in Economia degli intermediari finanziari, emerge che le banche italiane sono svantaggiate: il rapporto è infatti del 56 per cento in Italia (57 per cento in Spagna), contro il 41 per cento delle banche inglesi, il 37 per cento degli istituti francesi e il 28 per cento di quelli tedeschi. Che significa? Significa che le banche italiane devono avere più mezzi patrimoniali a disposizione per erogare un prestito o un mutuo. La differenza fra stati potrebbe essere spiegata, secondo alcuni analisti, in base al diverso business delle banche. Maggiore è il peso dei finanziamenti ai cittadini e alle imprese – come in Italia e in Spagna – e più la regolamentazione prevede vincoli stringenti.

    Questo è indubbio, ha detto Torriero, che però ha aggiunto, secondo la ricostruzione del Foglio: la determinante unica del diverso grado di rischiosità regolamentare non è la composizione del portafoglio di attività, a influire sui vincoli ci sono altri fattori. Quali? La ricerca dell’Abi mostrata a banchieri, economisti e docenti di Finanza indica che ci sono ampie differenze in termini di fattori di ponderazione del rischio anche su classi omogenee di attività. Si prenda il caso dei mutui residenziali. Una slide di Torriero ha rivelato che le attività ponderate per il rischio relative ai mutui residenziali per un campione di banche europee registra una chiara disparità: le tre maggiori banche italiane (Intesa, Unicredit e Mps) sono nelle prime sette posizioni. In altri termini, il confronto fra paesi indica che i principali gruppi bancari italiani applicano per i mutui residenziali, in media, un fattore di ponderazione pari al 19,6 per cento. Un valore del 46 per cento più alto rispetto alla media europea. Numeri che hanno una morale: le istituzioni impongono troppe restrizioni che inducono a erogare meno credito.

    E’ un punto cruciale su cui battono da tempo i banchieri italiani nelle critiche che rivolgono alle regole di Basilea, su cui dovrebbe vigilare l’autorità di vigilanza europea (Eba): i fattori di ponderazione più elevati implicano maggiori volumi di capitale per erogare il credito. “Il rischio – ha detto Torriero – è quello di generare distorsioni della concorrenza e alimentare percezioni erronee sulla adeguatezza patrimoniale delle banche”. Il problema non riguarda solo i mutui residenziali.

    Le conclusioni implicite della relazione tenuta dal direttore centrale dell’Abi sono state due, secondo la ricostruzione del Foglio sulla base di fonti finanziarie. La prima: a richiedere maggiori capitali per poter prestare denaro a imprese e cittadini sono soprattutto le regole nazionali di Vigilanza. La seconda: l’Eba sta imponendo ricapitalizzazioni a banche come quelle italiane che già devono avere più patrimonio delle altre per erogare fondi. In questo modo l’Eba sta alterando la concorrenza sul mercato dei capitali a favore delle banche che risultano paradossalmente più patrimonializzate, come ad esempio quelle svedesi, attestano recenti report di Jp Morgan.

    Peccato che gli analisti di Jp Morgan omettano di dire che in Svezia, ma anche in Inghilterra e finanche in Francia e Germania le regole di Vigilanza sono molto più lasche di quelle italiane, è la convinzione dei banchieri italiani suffragata adesso anche da numeri e confronti.
    Quindi – ha lasciato intendere l’esponente dell’Abi – piuttosto che concentrarsi sui livelli di capitale, analisti e Autorità di vigilanza dovrebbero fare attenzione al fatto che gli attivi bancari vengano calcolati in modo comparabile e omogeneo nei diversi paesi.