Calci paralleli

La lunga strada per la Champions di Ibra e Cavani

Sandro Bocchio

Zlatan Ibrahimovic segna e allarga le braccia, come Cristo in croce. Edinson Cavani segna e alza lo sguardo, ringraziando Dio. Ibrahimovic chiama a sé i compagni, consapevoli di doverlo seguire. Cavani rende grazie a un Altro, consapevole di doverlo seguire. Questione di fede, doppia trattandosi di pallone. Dichiarata, quella di Cavani, atleta di Cristo evangelico pentecostale.

    Zlatan Ibrahimovic segna e allarga le braccia, come Cristo in croce. Edinson Cavani segna e alza lo sguardo, ringraziando Dio. Ibrahimovic chiama a sé i compagni, consapevoli di doverlo seguire. Cavani rende grazie a un Altro, consapevole di doverlo seguire. Questione di fede, doppia trattandosi di pallone. Dichiarata, quella di Cavani, atleta di Cristo evangelico pentecostale. Supposta, quella di Ibrahimovic, figlio di padre musulmano e madre cattolica, nato e cresciuto a Malmoe, segnalata come la città europea con la più alta percentuale di seguaci dell'Islam. Ma la fede dello svedese risiede soprattutto in se stesso, in ciò che crea e fa. Ed è tanto. Lui, da otto stagioni, dove va vince. Campione con l'Ajax, con la Juventus cancellata da Calciopoli, con l'Inter, con il Barcellona e con il Milan. Destinato a lasciare il segno, anche quando osano metterlo da parte come ha fatto Guardiola in Catalogna. Uno come lui è ingombrante per definizione, non soltanto per dimensione, condannato a ritrovarsi al centro dell'attenzione per essere odiato (“zingaro” l'insulto più gettonato) o adorato. Come avviene oggi al Milan, dove a Ibrahimovic piacerebbe chiudere la carriera, e lo ripete spesso. Per il momento si accontenta di manifestarsi apparentemente insostituibile, perché Allegri muta pelle ai suoi se lo svedese manca, vincendo comunque. Ma quando Ibrahimovic è in campo e, soprattutto, quando ha voglia di fare il fenomeno non c'è scampo per nessuno. Vedi le tre reti al Palermo, una per ogni giornata della squalifica che gli ha fatto saltare l'appuntamento contro lo Juventus e ha acceso i rimpianti di Galliani per la sua assenza nella madre di tutte le partite. Poco importa, perché Ibrahimovic ha una voglia matta di conquistare l'ennesimo titolo e di cucirsi una personale stella sul petto, visto che sarebbe il decimo della carriera, sommando anche il primo all'Ajax nel 2002.

    Una doppia cifra che però non sanerebbe la ferita su cui ogni critico gode a versare il sale. Una ferita che ha i contorni a orecchie della Champions League, sempre inseguita e sempre mancata. Quest'anno sembra andar meglio della passata stagione, quando bastò un Tottenham qualunque a buttare fuori il Milan, ma la strada è lunga. Una strada che lo svedese condivide inaspettatamente con Cavani, suo rivale in Italia tra i marcatori e suo compagno di viaggio in Europa. Inaspettatamente perché il Napoli sembrava destinato a uscire subito di fronte a squadroni come Manchester City e Bayern, e invece è ancora lì. Era pronosticato vittima sacrificale del Chelsea, e invece ha contribuito a licenziare Villas-Boas. Questo grazie al suo attaccante uruguaiano, uno che non aveva mai segnato molto prima di scoprirsi infallibile in maglia azzurra, perfetto terminale offensivo sull'asse Hamsik-Lavezzi. L'ennesima dimostrazione di quanto sia importante incontrare allenatore e ambiente giusti per trovare se stessi: 26 reti lo scorso campionato, 16 in quello attuale, a due di distanza dalla coppia formata da Di Natale e, per l'appunto, Ibrahimovic. Un'Italia che Napoli e Cavani hanno trovato troppo ristretta per le proprie ambizioni, amplificandole in chiave internazionale, come tanto piace al presidente De Laurentiis. Difficile capire quanto sostenibili, ma da quelle parti con santi, santini e miracoli vanno forte. E Cavani sa sempre chi ringraziare.