Bologna ritrova un bambino

Camillo Langone

Dopo due giorni di ininterrotto ascolto di canzoni, mi viene un’idea: per dare un futuro a tutto questo passato, per fermare nel tempo la grande commozione di questi giorni bisogna immortalarla sulla tela. Devo convincere un pittore, mi dico, o magari anche più pittori, a dipingere i funerali di Dalla. Così come Guttuso dipinse i funerali di Togliatti. Se la memoria di una brutta persona come il politico comunista ha usufruito di un artista valoroso, quella di una persona bella come il cantante cattolico meriterebbe all’incirca Michelangelo.

    Guarda la puntata di "Qui Radio Londra" Perché tutto questo rancore nei confronti di Dalla?

    Dopo due giorni di ininterrotto ascolto di canzoni, mi viene un’idea: per dare un futuro a tutto questo passato, per fermare nel tempo la grande commozione di questi giorni bisogna immortalarla sulla tela. Devo convincere un pittore, mi dico, o magari anche più pittori, a dipingere i funerali di Dalla. Così come Guttuso dipinse i funerali di Togliatti. Se la memoria di una brutta persona come il politico comunista ha usufruito di un artista valoroso, quella di una persona bella come il cantante cattolico meriterebbe all’incirca Michelangelo. Siccome Buonarroti è morto, a chi rivolgersi? Escludo subito gli artisti amici del defunto: Luigi Ontani è un egotista incapace di esprimere altro che se stesso, Mimmo Paladino ha quel segno rachitico anni Ottanta che non c’entra nulla col massimalismo di esequie così contemporanee. Scrivo a Francesco Lauretta, virtuoso siciliano, di più, neoguttusiano, che però, purtroppo, non mi sembra molto dalliano, almeno a giudicare dai cd che gli ho visto in casa e dai video che posta su Internet. Scrivo a Marco Cingolani, maestro del colore che nel 1989 riuscì a fissare “Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro”. Infine scrivo a Ester Grossi, abruzzese con indirizzo bolognese assai benaugurante, via dell’Oro, ma lo faccio con qualche titubanza perché ha un segno molto essenziale, poche figure immerse in grandi campiture: come se la caverà con una piazza piena come un uovo? Convinto da Boccaccio che sia meglio fare e pentirsi che non fare e pentirsi comunque, invio. Mi premia una sollecita risposta. Quanto mi piacciono le persone che rispondono subito. Quanto mi strapiacciono le persone che rispondono subito esordendo così: “E’ un’idea bellissima…”. La giovane pittrice stava giusto per darsi alle scene di massa. “E’ da tanto che vorrei fare una copia del ‘Funerale a Ornans’ di Courbet”. Bene, questa non è Ornans e non è nemmeno Roma, infatti è Bologna, e il funerale eccolo. Al posto di un gruppo di paesani francesi, al posto di una cupola di comunisti italiani e russi, si dovranno inserire Gianni Morandi e gli Stadio, Samuele Bersani e Ron, Luca Carboni e Angela Baraldi, Iskra Menarini e Pierdavide Carone, giustamente Marco Alemanno, ovviamente Stefano Bonaga, e anche Pupi Avati che pure non c’era (al telefono mi ha detto: “Ho paura di venire, già ai funerali di Luttazzi sono stato male, mia moglie me lo impedisce, dirò una preghiera da qui”). Un mucchio di gente, è vero, ma il tempo non manca. Togliatti è morto nel 1964 e Guttuso ha firmato il quadro nel 1972, quindi a Ester, a Marco, a Francesco non metto fretta. Li prego soltanto di metterci un po’ meno di otto anni: vorrei vederla, non solo immaginarla, l’opera.

    Sceso dal treno la prima cosa che faccio è andare a mangiare la pizza da Altero. Dal 2006, anno di “Dark Bologna”, canzone invero poco riuscita, sapevo il nome della sua pizzeria al taglio preferita. Ma come tutti i bolognesi (tutti i bolognesi meno Dalla, evidentemente), come tutti gli ex bolognesi (categoria a cui appartengo) e come tutti i futuri bolognesi (categoria a cui sogno di appartenere) non amo via Indipendenza, i cui portici sono autostrade pedonali dove traffico e velocità rendono difficile fermarsi a guardare una vetrina, e di autoctoni se ne vedono pochi. Poi a me piace mangiare seduto, servito e riverito, mica in piedi come le bestie. Quindi niente Altero fino al presente pellegrinaggio (questa pagina è un pellegrinaggio, chiaro). Consapevole che un pellegrinaggio se non è scomodo non vale, dopo il tuffo al cuore causato dal manifestino con scritto “Ciao Lucio” entro al civico 33. O meglio cerco di entrare, perché c’è la fila. Non credo siano tutti pellegrini, il grosso mi sembra composto da clienti abituali o da abituali consumatori di pizza al taglio. Li classifico così da come si vestono e da come si muovono, perfettamente a loro agio. Io col mio zaino Tumi fatico a penetrare e non so cosa ordinare, e quando lo faccio, limitandomi per non sbagliare alla solita margherita e alla consueta birra, poi non so dove appoggiare, non so come mangiare e svuoto il distributore di tovagliolini per paura di sporcare la giacca maremmana. Però buona, la pizza.

    Poi vado alle Drapperie, alberghetto delizioso in pieno Mercato di Mezzo che non vorrei dirlo perché non se lo merita ma è un po’ un ripiego: ambivo al Cappello Rosso, quattro stelle dal nome papalino e perciò adatto a un funerale che si svolge sotto la mano benedicente di Gregorio XIII (statua sulla facciata di Palazzo d’Accursio). Le stanze sono poche, gli ambiziosi sono molti, niente da fare. Non vedo l’ora di entrare in camera per aprire il MacBook sul letto e mettere per l’ennesima volta “Kamikaze”: “Annuso un poco il tuo odore, sa di pane”. E’ la canzone che più mi dà la carica in questi giorni in cui sono diviso fra ovvia prostrazione e strana eccitazione. Apro la finestra per far sentire la musica al mondo ma la camera dà sul cavedio, come non detto. Sfioro vicolo Ranocchi, se non fossi in ritardo mi infilerei all’osteria del Sole per cercare Enrico Brizzi che al telefono non risponde (che sia all’estero? Lo squillo ha un suono strano). Corro in piazza Malpighi a salutare Stefano Bonaga che cena insieme ad Alessandro Haber venuto apposta su da Roma. A Bonaga, figura unica di filosofo peripatetico, voglio dedicare un intero capitolo di un prossimo libro sui Grandi Maestri, più o meno il mio pantheon, i miei lari e penati, però prima che mi dimentichi devo lamentarmi del vino. In ventiquattr’ore di permanenza bolognese non sono riuscito a bere un vino bolognese uno. Al San Franzisco lounge restaurant (non giudicatemi male, ha prenotato Haber) i vini dei Vallania devono arrivare, disdetta, e mi propongono un Grignolino che si abbina ai piatti ma non alle tombe dei glossatori qui di fronte. Il giorno dopo, al Bistrò 18 di via Clavature appunto 18, mi toccano: 1) un Albana, bianco romagnolo che non bevevo da tempo e che per almeno altrettanto tempo non berrò più; 2) un Sangiovese qualunque; 3) il Chianti Nipozzano dei Frescobaldi, gran vino  toscano. Tornando al San Franzisco, il proprietario, mai visto né sentito prima, mi dà immediatamente del tu e pure questo è Bologna. Nessuno pensi che c’entri l’Emilia: nella sommamente anaffettiva città di Parma sarebbe inconcepibile, lassù con mio grande scorno qualcuno mi chiama perfino dottore, e pure a Piacenza (quando mai ti viene offerta una familiarità a Piacenza). Non esiste testo senza contesto e il canzoniere dalliano, colmo di umana vicinanza, poteva nascere soltanto qui. Compresi i testi non suoi, compreso “Cara” che (ogni tanto mi riesce di dare una notizia) è opera di Bonaga, anche se non risulta da nessuna parte. Non essendo iscritto alla Siae, né volendolo essere, in quel 1980 il filosofo venne ricompensato forfettariamente con una Citroën Due Cavalli. Non magra però meccanica consolazione per chi era stato lasciato dalla fidanzata (quella che mentre lui stava morendo mangiava il gelato).

    Dopo la morte di Dalla, chi sarà il campione cittadino? Per me chiaramente sarà Bonaga, ne parlo col sociologo Ivo Germano che si mostra abbastanza d’accordo pur ipotizzando altre candidature. Non il vernacolare Alberto Mingardi né l’abbacchiato Luca Carboni, che fra l’altro ormai abitano fuori (Carboni addirittura a Savigno: a fare che?). E nemmeno Cesare Cremonini, ben presente dentro le mura (socio dell’osteria La Tigre di via Orfeo) ma con ancora troppo breve curriculum. Per Germano il nuovo sismografo della bolognesità è uno scrittore, Danilo Masotti (bisognerà leggerlo, pubblica con Pendragon) ma il suo cuore batte per Beatrice Buscaroli, la critica d’arte figlia di Piero: “E’ lei la Regina di Bologna e io vorrei essere uno dei suoi moschettieri”. Da maniaco di urbanistica e toponomastica trovo a Beatrice un altro merito oltre quello monarchico: l’indirizzo. Così come Dalla abitava sul cardo (via D’Azeglio), lei abita sul decumano (strada Maggiore). Non è un dettaglio, è un emblema.

    Alle 23 e 45 arrivo in piazza, non c’è bisogno di specificare quale, e mi metto in fila, facendo un bagno di folla e di umiltà. Avrei preferito essere citato nel testamento (che comunque pare non esista) ma pure questo è un lascito. Non partecipo mai a concerti né a comizi, non vado a teatro e figuriamoci allo stadio, da quando lessi Orazio odio il vulgo profano e lo fuggo. Forse però questo che mi circonda è un popolo e un popolo non è profano, è sacro, e gusto il piacere di farne parte. La musica diffusa dagli altoparlanti aiuta. Le canzoni pare le abbia scelte Marchino, come chiamano Marco Alemanno: Ester avrebbe voluto anche “Disperato erotico stomp”, la mia prediletta, ma non è notte erotica né disperata. Ce ne sono state tante e ce ne saranno, a Dio piacendo o non troppo dispiacendo, altre. Non questa. “Le rondini” è perfetta e mi aiuta a far parte del serpentone sul Crescentone. “Vorrei entrare dentro i fili di una radio / e volare sopra i tetti delle città / incontrare le espressioni dialettali”. Effettivamente, ad ascoltarle, le migliaia di persone in fila per entrare nella camera d’ardente di Palazzo d’Accursio tradiscono la nascita o la lunga residenza in loco. “Mescolarmi con l’odore del caffè / fermarmi sul naso dei vecchi mentre leggono i giornali”. Intanto sono gli altri a mescolarsi con l’odore del mio toscano Antica Tradizione, fumato alla maremmana (intero) perché c’è tanto tempo e poi con la giacca maremmana come vuoi fumare. L’età della piazza è abbastanza mista ma certo non mancano i coetanei del morto. Molti inchiodano Dalla a un’epoca e fanno malissimo. I veri inchiodati sono loro, incapaci di aprire orecchie e cuore a canzoni che esulano dalla loro giovinezza (non riuscire più ad amare le nuove canzoni: questa è la vecchiaia). “Ciao” (1999), “Le rondini” (2000) e “Kamikaze” (2001) sono brani infinitamente più ispirati di qualsiasi pezzo contenuto nell’album del 1983, che pure vendette un fracasso di copie. Non mi spingo a dire che la sua parabola somigli a quella dell’altro grande Lucio, Battisti, che riuscì a superare se stesso poco prima di spegnersi. Dico solo che il Dalla degli anni Zero ha classe da vendere, ancora nel 2009 registra “Puoi sentirmi?” fluttuando tra Pink Floyd e Bacharach: sarà polvere di stelle però che stelle. A mezzanotte e mezza arrivo davanti al feretro, sotto la grande Ultima Cena testimonianza di una magnifica ossessione cristiana, e avviene l’insperato: i segni di croce superano di gran lunga i flash.

    “E tu sei tutta in questa piazza, o Italia”. Mi sembra di stare dentro una poesia di Saba che nel 1915 proprio in una piazza di Bologna (era piazza Aldrovandi) affollata di popolo e bersaglieri visse un’epifania di patria. Ho fumato solo un toscano, non altro, eppure sento confluire qui, adesso, l’Italia dei poeti e dei Santi. Ho ritrovato ieri il filo che lega Dalla a Pasolini quando il mio amico Mimmo Spadoni ha postato su Internet “Due ragazzi”, brano tratto da “Automobili”, album-capolavoro anche e forse soprattutto grazie ai testi di Roberto Roversi, bolognese come Pasolini, nato pochi mesi dopo Pasolini, fondatore con Pasolini, nel remoto 1955, della rivista “Officina”. Un po’ meno cupo, forse, ma “sopra all’auto scalcinata? / al margine di un campo / dentro un’auto in demolizione / due ragazzi senza tempo” se non è una poesia di Pasolini è un’inquadratura di Pasolini. In piazza c’è anche una poetessa viva, Francesca Serragnoli, che mi dice vibrante la sua preoccupazione per la gente che non entrerà in chiesa e non vivrà il funerale come eucaristia ma come spettacolo dal maxi-schermo. “E quando gli spettacoli finiscono resta soltanto l’angoscia”. Il primo Santo ad aleggiare è san Pio, poco prima di morire confessò il cantante venticinquenne che ne rimase segnato per sempre, col perenne ricordo del frate che, dopo l’assoluzione, scosta la tendina del confessionale per salutarlo con la mano piagata. Il secondo è san Remo ovvero san Romolo storpiato dal dialetto ligure: in qualunque modo lo si chiami è il protettore della canzone d’amore (se una canzone non è d’amore non si capisce bene a cosa serva). Quanti ragazzi ed ex ragazzi si saranno innamorati, si saranno baciati, avranno fatto l’amore (in macchina, sulla spiaggia, in camera quando i genitori erano via) con le canzoni di questo buffo Cupìdo. “Che commozione, che tenerezza”. Quanta bellezza.

    La messa poteva essere organizzata meglio. Nessun appunto alla Curia perché San Petronio ha uno statuto complicato, è tempio civico, comunale, non dipende direttamente dall’arcivescovo come invece la cattedrale di San Pietro. E’ difficile da credere ma sembra che, almeno in teoria, i funerali domenicali si sarebbero potuti svolgere anche senza il benestare del cardinale Caffarra. Che comunque c’è stato: lo prova che a celebrare ci sia il vicario generale della diocesi. Rosicano moltissimo i sindacalisti della sodomia che aspettavano bramosi un diniego per accusare la chiesa di insensibilità. Protestano perfino alcuni tradizionalisti, cari fratelli a cui piace documentare la propria impermeabilità allo Spirito Santo che bagna ciò che è arido, scalda ciò che è gelido e soprattutto piega ciò che è rigido: non bisognava, dicono, concedere sì prestigiosa basilica a un peccatore pubblico. Peccatore pubblico de che? Se Lucio Dalla ha sbandierato qualcosa è stata la fede, la devozione a Padre Pio, l’amore per san Francesco (come ricordato dai frati di Assisi in una testimonianza finale), l’interesse per san Josemaría Escrivá, la frequenza ai sacramenti ben conosciuta dai praticanti bolognesi e pure pugliesi (d’estate si vedeva a messa a Vieste e alle Tremiti). Lo spaventoso Aldo Busi ha tentato il calcio dell’asino, definendolo “checchesco buontempone, chierichetto furbastro”. I manichei hanno una mente binaria, povera di opzioni, che impedisce loro di distinguere peccato da peccatore, omosessualismo e omosessualità, omosessualità e bisessualità (altra notizia: “Ha anche avuto una storia con Angela Baraldi”, dichiara Andrea Mingardi). Non ci riescono loro e, invidiosi, vorrebbero che non ci riuscissero nemmeno gli altri. Non hanno letto la “Deus caritas est”: “Eros e agape non si lasciano mai separare completamente. Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, nell’avvicinarsi poi all’altro cercherà sempre di più la felicità dell’altro”. Non sanno che un vecchio Papa osserva le innumerevoli sfaccettature dell’umano con molta più consapevolezza e benevolenza di qualsiasi psicanalista o moralista. Ignorano che lo Spirito soffia dove vuole. Non concepiscono l’infinita misericordia di Dio. La messa poteva essere organizzata meglio, bisognava garantire la comunione a tutti coloro che la desideravano ma confusione e calca hanno prevalso. Però come sono contento di avere cantato e pregato alla messa funebre di un piccolo grande uomo onorato nel giorno del suo compleanno, del suo Santo (il 4 marzo è san Lucio, non sarà un caso) e del suo volo verso la luce perpetua. Un uomo per cui questa pagina sia tributo, ringraziamento, inchino, saluto.

    (Canzoni di Lucio Dalla ascoltate durante questi giorni che ho dedicato a Lucio Dalla, secondo iTunes: “Kamikaze” 73 volte, “Ciao” 63 volte, “Vita” 30 volte, “Le rondini” 27 volte, “Disperato erotico stomp” 15 volte, “Washington” 12 volte, “Ciao a te” 11 volte, “Cara” 10 volte, “Tu non mi basti mai” 10 volte, “Puoi sentirmi?” 8 volte, “Nuvolari” 6 volte, “Pezzo zero” 5 volte, “Henna” 4 volte).

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).