Vasto problema

Claudio Cerasa

Il sorprendente esito delle primarie palermitane è destinato a produrre degli effetti non secondari all’interno del vivace mondo del Partito democratico. Certo: la storia delle consultazioni siciliane, per molti versi, resta legata alle dinamiche territoriali, e sarebbe un errore voler trarre a ogni costo una lezione esemplare da quanto successo domenica nel capoluogo siciliano.

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    Il sorprendente esito delle primarie palermitane – con la vittoria di misura (per 67 voti, in attesa del riconteggio) del candidato sostenuto dal fronte centrista e lombardiano del Pd (Fabrizio Ferrandelli) sulla candidata appoggiata da Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro (Rita Borsellino) e sul candidato del Pd sponsorizzato dal sindaco di Firenze Matteo Renzi (Davide Faraone) – è destinato a produrre degli effetti non secondari all’interno del vivace mondo del Partito democratico. Certo: la storia delle consultazioni siciliane, per molti versi, resta legata alle dinamiche territoriali, e sarebbe un errore voler trarre a ogni costo una lezione esemplare da quanto successo domenica nel capoluogo siciliano.

    Ma un po’ per la plasticità con cui il partito di Vasto è stato bocciato ai gazebo (in pratica, tre democratici su quattro hanno votato contro il candidato proposto dal trio Bersani-Vendola-Di Pietro); e un po’ per la fase delicata in cui è maturata la sconfitta di Borsellino (una fase in cui le due anime del Pd, quella ultra centrista e ipermontiana e quella ultra sinistra e meno montiana, si scontrano quotidianamente sul destino del partito senza riuscire a trovare un punto di incontro); alla fine si può dire che il successo dell’“outsider” Fabrizio Ferrandelli ha rafforzato in modo consistente il fronte del Pd più ostile all’idea (bersaniana) di preparare la rincorsa alle elezioni del 2013 puntando forte sul famoso cavallo di Vasto. Bersani – che tra l’altro ieri ha ricevuto un duro attacco da parte di uno degli sponsor di Ferrandelli, il senatore Lumia, che non ha escluso di presentare una richiesta di dimissioni per il segretario – ieri si è difeso ripetendo che il Pd ha vinto 18 delle 23 primarie convocate negli ultimi mesi e sostenendo che sarebbe sciocco voler dimostrare che il pasticcio palermitano sia la metafora di chissà che cosa. Ma a guardar bene, l’impressione è che – al contrario di quanto successo con gli altri flop registrati alle primarie di Genova, Milano e Cagliari – il caso Palermo è destinato a cambiare qualcosa nel mondo del Pd. E le parole del vice di Bersani, Enrico Letta, in questo senso sono molto chiare.

    “I nostri militanti – ha detto ieri Enrico Letta – ci stanno chiedendo di fare un salto di qualità: l’alleanza soltanto con Sel e con l’Idv non basta più e oggi il nostro partito deve puntare a costruire nuove alleanze”. Il ragionamento del vicesegretario del Pd (formulato nelle stesse ore in cui Bersani sosteneva che la foto di Vasto, invece, non è affatto in discussione) nasce dalla consapevolezza che da troppo tempo il Pd non riesce a presentarsi di fronte ai propri elettori senza dare l’idea di essere la solita espressione del vecchio partito della conservazione. Ma dall’altra parte, bisogna riconoscere che il discorso del vicesegretario si inserisce anche all’interno di una dinamica legata solo indirettamente al caso siciliano.

    Letta, infatti, è diventato uno dei più autorevoli portavoce del così detto “partito costituente”, quello dei “montiani del Pd”; e da tempo, insieme con un fronte sempre più ampio di dirigenti democratici (che va da Walter Veltroni e arriva ormai fino a Dario Franceschini), si spende in prima persona per dare consistenza a un progetto alternativo rispetto a quello bersaniano. In questo senso, dunque, si può dire che il caso Palermo (oltre a regalare di fatto il pallino delle comunali a Raffaele Lombardo, che d’un tratto si ritrova con due candidati della “sua scuderia”: Fabrizio Ferrandelli da un lato e Massimo Costa del Terzo polo dall’altro) costituisce solo l’ultimo tassello di un mosaico più grande.

    “Palermo – dice al Foglio Stefano Ceccanti, senatore del Pd – dimostra che i nostri elettori si sono stufati di vederci ragionare con gli schemi usati nel passato e se Bersani non capirà che le offerte politiche non possono più essere costruite con gli stessi criteri e gli stessi collanti adottati nell’era berlusconiana non saremo mai al riparo da analoghe sconfitte. Insomma, inutile girarci attorno: Monti ha cambiato in modo irreversibile l’anima del Pd e sarebbe da pazzi non accorgersi che la nostra gente, come ormai ha capito perfettamente anche Enrico Letta, ci chiede di assumere davvero un profilo del tutto nuovo. E allora cosa aspettiamo? Veramente vogliamo fingere di non capire che proporre la foto di Vasto non ha più alcun senso? Eddai, ragazzi, su, adesso smettiamola con questa storia qui”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.