Perché è il petrolio “la nuova Grecia” dell'economia mondiale
Quando i giornali si saranno dimenticati la Grecia, il petrolio prenderà il suo posto nei titoli di prima pagina. Il paragone inquieta ancora di più se a farlo è Stephen King. Non il romanziere horror, ma il capo economista della banca inglese Hsbc. Ha comunicato ai suoi clienti che è “nell’aumento del prezzo del petrolio che gli investitori troveranno una nuova fonte d’ansia”, “la nuova Grecia”. Un’ipotesi non lontana dalle possibilità, perché negli ultimi tre mesi il costo dell’oro nero ha registrato un aumento del 20 per cento.
Quando i giornali si saranno dimenticati la Grecia, il petrolio prenderà il suo posto nei titoli di prima pagina. Il paragone inquieta ancora di più se a farlo è Stephen King. Non il romanziere horror, ma il capo economista della banca inglese Hsbc. Ha comunicato ai suoi clienti che è “nell’aumento del prezzo del petrolio che gli investitori troveranno una nuova fonte d’ansia”, “la nuova Grecia”. Un’ipotesi non lontana dalle possibilità, perché negli ultimi tre mesi il costo dell’oro nero ha registrato un aumento del 20 per cento. “Se la tendenza continuerà – ha aggiunto King – una fragile ripresa nei paesi più sviluppati potrebbe velocemente deragliare e un’ondata di inflazione colpire i mercati emergenti”. Il che significa un ulteriore ostacolo per l’economia, quando già il Fondo monetario internazionale ha avvertito che il mondo è sull’orlo di un’altra recessione. Al prezzo di 123 dollari al barile, il greggio del mare del Nord (Brent), cioè lo standard di riferimento dei mercati, ha superato il record di un anno fa. E anche il Wti, di provenienza americana e più abbondante, è sullo stesso percorso ma più in basso, a 107 dollari. Seppure distante dai 140 dollari del 2008 – prima del fallimento di Lehman Brothers – l’impennata dei prezzi arriva in un momento più grave. A cominciare dalle cause che l’hanno generato.
Secondo Massimo Siano, responsabile per il mercato italiano di Etf Securities, il rialzo è frutto innanzitutto della politica monetaria espansiva. La Banca centrale europea ha concesso prestiti a 800 banche per 1.018 miliardi complessivi, la Fed americana finora ha comprato asset pubblici per un valore pari all’11,5 per cento del pil americano, e la Bank of England programma una nuova iniezione. “Con l’immissione di liquidità – dice Siano al Foglio – la Bce non ha valutato gli effetti collaterali sul petrolio. Più una moneta è in circolazione, più i prezzi di petrolio, oro e altre materie prime saliranno. Quelle agricole, come il grano, seguiranno a ruota perché sono collegate dal costo del carburante. Di questo passo – osserva – la crescita è sempre più difficile”.
Altro fronte è quello geopolitico. Da mesi l’Iran è il fulcro della tensione con i paesi occidentali per via del programma statale di arricchimento dell’uranio che, secondo l’Agenzia atomica dell’Onu, potrebbe celare esperimenti con armi nucleari. Confermano l’escalation le parole del presidente americano, Barack Obama, che, ospitando alla Casa Bianca il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, non ha escluso l’intervento militare preventivo. Per Netanyahu “il tempo sta per scadere”. Spiega al Foglio Giacomo Luciani, docente all’Università di Princeton: “Di recente anche Israele ha insistito sull’ipotesi di attacco militare all’Iran. Che, a sua volta, in vista delle sanzioni americane (alla Banca centrale, ndr) e dell’embargo da parte dell’Unione europea, spinge il petrolio al rialzo con altre dichiarazioni”, come minacciando di chiudere lo Stretto di Hormuz, passaggio strategico per i traffici energetici globali. “Altro fattore – aggiunge Luciani – si può rintracciare nella domanda dall’Estremo oriente, ma questa rimane fonte d’incertezza perché al momento non ci sono dati certi sugli acquisti”. In un contesto in cui però l’offerta è debole, i mercati guardano all’Arabia Saudita, il principale produttore. Non senza qualche preoccupazione anche lì. Infatti, anticipando l’arrivo di capitali che si riverseranno nel paese per comprare greggio, la Borsa di Riad ha appena toccato i massimi dal 2008. E rischia una bolla, affollata com’è di investitori locali, e poco accessibile agli stranieri. L’editorialista di Al Arabiya Nadine Hani ha lanciato l’allarme: “La speculazione è legittima e necessaria, il problema è quando investono attori inesperti per ottenere rapidi guadagni. Se dovesse accadere, torneremmo nella solita fossa”.
Nel peggiore degli scenari tracciati dalla banca d’affari nipponica Nomura, il petrolio potrebbe toccare i 150 dollari al barile nel secondo trimestre dell’anno, e rimanere sopra i 100 nella migliore delle ipotesi. In ogni caso – avverte l’istituto – l’aumento dei costi di produzione peserà sulle economie asiatiche rallentandole. Dunque non sono solo gli automobilisti italiani a preoccuparsi con la benzina che sfiorerà i 2 euro al litro nel giro di un mese.
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