Attenti al lupo
Urlo di dolore dei “dissociati” orfani del nemico che non c'è
C’era, il nemico. Era lì. Spiattellato in ogni salotto, in ogni intercettazione. Di lui si parlava in ogni dove, fino agli estremi confini e oltre. Tre mesi fa, solo tre mesi fa, Silvio Berlusconi – già respirando – motivava ogni piazza, ogni indignato, ogni Palasharp (incredibile tensione drammatica, Roberto Saviano in eterno collegamento, costituzionalisti e comici sul piede di guerra). E però adesso come si fa, chiusi nella Fortezza Bastiani a scrutare il deserto senza tartari.
C’era, il nemico. Era lì. Spiattellato in ogni salotto, in ogni intercettazione. Di lui si parlava in ogni dove, fino agli estremi confini e oltre. Tre mesi fa, solo tre mesi fa, Silvio Berlusconi – già respirando – motivava ogni piazza, ogni indignato, ogni Palasharp (incredibile tensione drammatica, Roberto Saviano in eterno collegamento, costituzionalisti e comici sul piede di guerra). E però adesso come si fa, chiusi nella Fortezza Bastiani a scrutare il deserto senza tartari, con il governo tecnico e i professori e i ministri donna con le spille bonton e i ministri uomini beneaccolti in Europa. E’ guerra asimmetrica senza al Qaida, è subdolo nemico invisibile. Uno se lo sogna, il nemico, lo vede arrivare lo stesso – e quasi quasi lo vorrebbe. Combatterlo, vederlo in volto: sarebbe un modo per dare un senso a ieri e a oggi in un colpo solo (quindici anni di girotondi e palazzetti piallati in un giorno da Mario Monti).
Governo tecnico, dunque, ma attenti al lupo. “Dipende da noi, dissociarsi per riconciliarci”, scrive il costituzionalista di Repubblica Gustavo Zagrebelsky nel manifesto di Libertà e Giustizia che ha raccolto trentacinquemila firme, tra cui quella di Carlo De Benedetti (più, tra gli altri, i coniugi Benigni, Gae Aulenti, Roberta De Monticelli, Stefano Rodotà, Sabina Guzzanti, Miriam Mafai, Roberto Faenza, don Ciotti, Piero Pelù, Rosetta Loy, Salvatore Veca). Ci sarà Concita De Gregorio, sul palco del Teatro Smeraldo di Milano, il 12 marzo, con Lella Costa, Sandra Bonsanti e (naturalmente) Roberto Saviano. Gad Lerner, dall’Infedele, si collegherà. Rosy Bindi, dall’esterno, senza firmare, guarda con simpatia. Pippo Civati, firmando, chiede dal suo blog se per caso non sia meglio, per la società civile, entrare nei partiti e cambiarli dall’interno, e Sandra Bonsanti risponde che il problema è “essere più umili rispetto al non fatto nel ventennio berlusconiano… non abbiamo fatto abbastanza”.
Ed ecco che nella linea del fronte, in assenza di uomo nero, si individua un nemico surrogato nella cellula postberlusconiana dormiente, quella che alberga nelle “conseguenze” degli atti tecnocratici, quella che prende le sembianze del “Parlamento screditato”, della legge elettorale gattopardesca. Tutti al Teatro Smeraldo, allora, asserragliati, a scrutare l’orizzonte, pronti a svegliare gli altri, gli erroneamente rassicurati dai professori. Quelli che, pur nella crisi economica, si rilassano (beh, non c’è più bisogno di gridare “dimettiti”, come un anno fa al Palasharp; beh, in tempi di larghe intese non c’è più bisogno di ‘ricucire l’Italia’”, slogan dell’ultimo evento di Libertà e Giustizia, ottobre scorso a Milano).
Ed è nostalgia dell’“ago e filo” con cui si voleva preparare l’“abito dignitoso per il paese”, con Michele Serra che scriveva: “Lo sbrego prodotto dal ventennio di Berlusconi” giustifica “ampiamente l’uso del verbo ‘ricucire’”, e citava Montanelli e Travaglio come “illustri ma inascoltate avanguardie di un’Italia moderata e liberale (non certo di sinistra) disgustata da Berlusconi, dalla sua demagogia, dai suoi mezzi e dai suoi fini”. Marco Travaglio non ha firmato il manifesto zagrebelskiano, né l’ha firmato il direttore del Fatto Antonio Padellaro. E insomma il Fatto, più che allo Smeraldo, pare propenso a combattere la tecnocrazia in area No Tav-MicroMega, tanto più che venerdì 9 c’è la manifestazione Fiom a cui Paolo Flores d’Arcais ha dato ampio sostegno. C’è soprattutto Repubblica, a parte Eugenio Scalfari, nella fortezza della dissociazione zagrebelskiana (all’Unità il “dàgli ai partiti” piace poco, al Manifesto ci si spende anima e corpo più che altro per la Fiom).
Stare di vedetta con le facce di professore in loden davanti – cosa difficile, c’è anche il presidente della Repubblica di mezzo, solo tre mesi fa si era lì a invocarlo con la Costituzione in mano. Non c’è più da resistere, non resta che allertare, allertare, allertare: “Che si tratti di medicina o veleno, non sappiamo”, scrive Zagrebelsky a proposito del governo tecnico. “Dipende da noi”, dice l’urlo di dolore degli attoniti dissociati dello Smeraldo – chi lo pensava, che finiva così, tac, tre mesi e Berlusconi che dice “non mi ricandido”, annuncia “tutti per l’Italia” e poi smentisce? C’è da “decontaminare”, “ripulire le stanze”, dice Zagrebelsky, e sul governo Monti si allunga l’ombra del Cav. in Monti. Attenti al lupo, anche se l’orizzonte è orfano del bau-bau.
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