Lavorare non stanca

Michele Arnese

In Confindustria non ci si meraviglia dello stallo del tavolo per la riforma del mercato del lavoro: gli incontri di questa settimana sono saltati e l’appuntamento è per lunedì prossimo. I motivi dell’intoppo sono noti: il ministro Elsa Fornero ha chiesto al Tesoro come trovare i miliardi necessari per estendere gli ammortizzatori sociali: “Senza risorse pubbliche aggiuntive non vedo come si possa fare una riforma degli ammortizzatori sociali”, dice in una conversazione con il Foglio il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli.

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    In Confindustria non ci si meraviglia dello stallo del tavolo per la riforma del mercato del lavoro: gli incontri di questa settimana sono saltati e l’appuntamento è per lunedì prossimo. I motivi dell’intoppo sono noti: il ministro Elsa Fornero ha chiesto al Tesoro come trovare i miliardi necessari per estendere gli ammortizzatori sociali: “Senza risorse pubbliche aggiuntive non vedo come si possa fare una riforma degli ammortizzatori sociali”, dice in una conversazione con il Foglio il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli. “Il ministro del Lavoro – spiega l’economista – cerca di costruire un sistema universalistico che protegga tutti i lavoratori nello stesso modo. Cassa integrazione estesa a tutti i settori e sussidio di disoccupazione più generoso che copra anche i giovani con contratti temporanei. Ma questo richiede di avvicinarci ai livelli di spesa pubblica degli altri paesi europei. Credo ci vogliano ben più di due miliardi”. Fornero pensa che le risorse possano essere trovate tagliando gli eccessi di spesa per la cassa integrazione e la mobilità lunga nell’industria.

    Galli ci pensa un attimo. Poi risponde: “Non sono un conservatore. E condivido che in molti casi abbiamo ammortizzatori troppo lunghi che scoraggiano la ricollocazione delle persone nel mercato del lavoro. Ma non capisco come si possa fare questa operazione”. Perché? “Se si cancellano le prestazioni, bisogna eliminare anche i contributi sociali che le finanziano e che pesano sul costo del lavoro. Oggi lavoratori e imprese dell’industria pagano all’Inps circa cinque punti di costo del lavoro per i vari ammortizzatori sociali. Pagano quindi un premio assicurativo che grava sia sul costo del lavoro delle imprese sia sulla retribuzione del lavoratore. Ma scelgono di farlo a fronte dei rischi che conseguono al fatto di essere molto esposti alla concorrenza internazionale e alle conseguenze delle innovazioni tecnologiche. La cosiddetta solidarietà assicurativa si applica solo ai soggetti che pagano il premio. Non è accettabile che Tizio paghi il premio e Caio riceva l’indennizzo”, dice Galli.

    “Peraltro – aggiunge il direttore generale degli industriali – se si decide di non dare più l’indennizzo in caso di crisi e ristrutturazione, non si può più chiedere di pagare il premio assicurativo”. Ci si dimentica che il sistema è in disavanzo e lo stato copre il deficit. “Questo è stato vero negli anni recenti, per via della crisi. Ma se guardiamo oltre il ciclo, il sistema si autofinanzia. Nel periodo 2002-2010, il saldo cumulato dei tre strumenti tipici cui ricorre l’industria, Cig ordinaria, Cig straordinaria e mobilità, è attivo per 908 milioni, tenendo conto della Cassa in deroga e dei contributi figurativi. Se escludiamo dal conto i due anni della crisi (2009 e 2010) il saldo cumulato era attivo per oltre sette miliardi di euro. La Cig ordinaria sfornava attivi per due miliardi l’anno, la Cig straordinaria era in leggero avanzo e la mobilità era in disavanzo per circa un miliardo”. “Se fossi un sindacalista – dice Galli – chiederei che gli avanzi dell’Inps venissero rimessi nelle buste paga dei lavoratori”.

    Ma ha senso per l’industria pagare un costo così alto per avere questi ammortizzatori? Non è meglio eliminarli e ridurre il costo del lavoro? “Questo è il vero ragionamento da fare. Attualmente le nostre imprese preferiscono avere accesso a questi ammortizzatori. Il motivo è molto semplice. Questi strumenti hanno fino a oggi consentito di fare quelle ristrutturazioni che erano vitali per le imprese, per innovare e rimanere competitive. Sono stati di gran lunga la principale, se non l’unica, valvola di flessibilità del nostro sistema industriale. C’è da chiedersi cosa ne sarebbe del nostro apparato industriale senza questa forma di flessibilità”.

    A proposito di flessibilità, non è ancora chiaro se Confindustria chiede o meno una riforma dell’articolo 18. “Una seria riforma dell’articolo 18 è essenziale. E a fronte di questa, noi abbiamo già dato la disponibilità non a cancellare ma a contenere gradualmente alcuni eccessi nell’uso degli ammortizzatori, così come abbiamo dato il nostro assenso ad alcune proposte del governo in materia di ‘cattiva flessibilità’. Ma bisogna superare l’opposizione del sindacato. Aggiungere all’articolo 18 anche la riforma degli ammortizzatori significa rendere il piatto davvero indigesto per i sindacati. Lo hanno dichiarato ai quattro venti. Per loro la riforma degli ammortizzatori prospettata dal governo rappresenta una riduzione secca delle tutele”.

    Dunque che cosa si deve fare? “Come sta facendo il ministro Fornero, bisogna proporre un piano graduale per l’entrata in vigore della riforma commisurato alle future disponibilità della finanza pubblica. Altrimenti la riforma degli ammortizzatori rischia di rendere molto più difficile quella dell’art. 18, e di gettare altra benzina sul fuoco dell’opposizione sociale. Il che non sarebbe saggio”.

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