Il cinismo di Messi

Beppe Di Corrado

Cinismo è la risposta. Sette volte, almeno. Sette volte per tutto. Qualunque domanda uno si sia posto in questi anni sullo strapotere del Barcellona e di Leo Messi nel calcio mondiale ha definitivamente trovato una risposta martedì sera. Il sette a uno in Champions League al Bayer Leverkusen fa cadere ogni altra ipotesi. A cominciare da quella sulla poesia del Barça.

    Cinismo è la risposta. Sette volte, almeno. Sette volte per tutto. Qualunque domanda uno si sia posto in questi anni sullo strapotere del Barcellona e di Leo Messi nel calcio mondiale ha definitivamente trovato una risposta martedì sera. Il sette a uno in Champions League al Bayer Leverkusen fa cadere ogni altra ipotesi. A cominciare da quella sulla poesia del Barça: la parabola della perfezione pallonara, della squadra bella e vincente, del campione più forte della storia inserito nella formazione più forte della storia, non può prescindere dalla cattiveria. Al Barcellona in pochi rinfacceranno di aver umiliato eccessivamente i tedeschi.

    Sarebbe stato molto più comodo se fosse stato il Real di Mourinho: avreste letto commenti indignati sulla antisportività di Mou, sull’imperialismo calcistico, sulla vergogna di un punteggio così inutilmente penalizzante per gli avversari. Il Barcellona no. Il Barcellona può. Meglio, allora. Perché ha fatto bene il Barça, così come avrebbe fatto bene qualunque altra squadra. Sette, otto, nove, dieci: si fanno tutti i gol possibili fregandosene delle critiche e anche degli avversari. Messi che irride, col settimo gol e il suo quinto personale, un’intera squadra è il trionfo della potenza barcelonista nel mondo. Il trionfo della più grande qualità che ha questa squadra e questo campione: è quella risposta. Perché sono i più forti di sempre? Perché Leo è il più grande della storia? Cinismo. Sono più bravi e più cattivi. Sono quelli che non ti perdonano mai. La poesia del loro gioco è un mezzo, non il fine. Il fine è battere sempre chiunque. Sul tre a zero, il Leverkusen ha smesso di giocare.

    Pensavano, i poveri tedeschi, di dare il messaggio che solitamente arriva in questi casi: ci arrendiamo, basta che non ci fate troppo male. Si vedeva dalla tv, figurarsi dal campo. Il Barcellona e Messi hanno risposto a questo segnale schiacciandoli. Cinque gol di Lionel lo portano nella storia due volte: perché nessuno in Champions aveva fatto una quintipletta e perché ha svelato al mondo quello che molti non volevano vedere. E cioè che dietro i sorrisi, dietro l’allegria, dietro la benedetta poesia sua e del Barcellona c’è una cattiveria mai vista. La differenza tra Maradona e lui è che Diego a un certo punto avrebbe detto a se stesso: basta. Limite, questo. Messi sembra buono, ma non si ferma. Cattivo, egoista, assetato di vittoria. Avido, sì avido. Quindi il migliore. Perché mai dovrebbe dire basta? Non è un problema suo o dei suoi compagni. C’è una dignità anche nella sconfitta e quelli che si arrendono sanno a che cosa vanno incontro. Il buonismo è la sconfitta dello sport non il contrario.

    Una squadra che non affonda più per non umiliare l’avversario non rende omaggio al calcio, ma al suo contrario. E’ il principio che avvicina lo sport all’idea di combine: il pensiero che si possa decidere quando fermarsi coi gol. Strano, no? Quelli che denunciano il calcio corrotto poi sono gli stessi che s’indignano quando una squadra mortifica e annichilisce l’avversario. Bizzarra storia quella per cui non si debbano superare certi limiti per evitare di sfociare nella derisione. Chi ha preso sette gol in una partita lo sa: fa male, ma non è sesto o il settimo a distruggerti, quanto il quarto. E’ il confine tra la possibilità, seppur remota, di potercela fare ancora e la certezza matematica della sconfitta. Allora 4, 5, 6, 7 non cambia nulla. Il Barcellona e Messi avrebbero potuto anche farne di più: lo schiaffo all’avversario l’hanno dato facendogli fare il gol della bandiera. Quello è umiliante, non il resto.