Guazzabuglio giuridico

Così i banchieri cercano di schivare la norma Catricalà

Michele Arnese

Non c’è soltanto la questione delle commissioni bancarie, limate con un intervento parlamentare al decreto liberalizzazioni, a preoccupare gli istituti di credito in questi giorni. Ieri le banche si sono sentite risollevate dal sottosegretario allo Sviluppo economico, l’economista Claudio De Vincenti, esponente di spicco della fondazione dalemiana ItalianiEuropei: “Il governo è contrario alla norma sbagliata e dirigista”, ha detto il sottosegretario tecnico del dicastero retto da Corrado Passera.

    Non c’è soltanto la questione delle commissioni bancarie, limate con un intervento parlamentare al decreto liberalizzazioni, a preoccupare gli istituti di credito in questi giorni. Ieri le banche si sono sentite risollevate dal sottosegretario allo Sviluppo economico, l’economista Claudio De Vincenti, esponente di spicco della fondazione dalemiana ItalianiEuropei: “Il governo è contrario alla norma sbagliata e dirigista”, ha detto il sottosegretario tecnico del dicastero retto da Corrado Passera. Ma in queste ore centinaia di banchieri hanno un cruccio: cercare di sfuggire – o di adeguarsi, dipende dai punti di vista – all’articolo 36 del decreto Salva Italia. Un articolo ormai ribattezzato norma Catricalà dagli addetti ai lavori. E’ noto infatti che ad ispirarla è stato proprio il sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà, che, da presidente dell’Antitrust, aveva ripetutamente stigmatizzato gli intrecci di poltrone e informazioni su credito e finanza. E’ una vera legge ad personam, si mugugna in ambienti finanziari milanesi.

    La norma Catricalà vieta l’assunzione di due o più cariche sociali in imprese o gruppi tra loro concorrenti nei mercati creditizi, assicurativi e finanziari. In sostanza, dopo il 25 aprile, non sarà più possibile sedere in più di un consiglio di amministrazione di banche, finanziarie e assicurazioni che operano da concorrenti nello stesso mercato. I primi effetti ci sono già stati. Carlo Pesenti si è dimesso da consigliere di Unicredit per mantenere il posto nel cda di Mediobanca. Ma a scegliere dovranno essere anche, ad esempio, Fabrizio Palenzona che dovrà optare fra Unicredit e Mediobanca, e Giovanni Bazoli tra Intesa e Ubi Banca (ovviamente non lascerà la presidenza di Intesa Sanpaolo).

    Dopo i primi rilievi teorici e applicativi sollevati dal Corriere della Sera con l’editorialista Massimo Mucchetti e dal Giornale con il vicedirettore Nicola Porro (norma scritta e pensata contro il sistema Mediobanca, ha scritto Porro), Catricalà ha detto al Foglio: “Anche la norma più chiara dà luogo a diverse, possibili interpretazioni, ma a me sembra evidente il principio espresso: non si può contemporaneamente sedere in organi di imprese bancarie, assicurative e società di gestione del risparmio (Sgr) che siano in concorrenza tra loro. Bisogna leggere quell’articolo avendo presente l’obiettivo finale che è quello di evitare un continuo scambio di informazioni tra concorrenti nel sistema finanziario”. Un obiettivo lodato dall’economista Marcello Messori: “La definizione adottata – ha scritto è formalmente ineccepibile, perché si rifà alla prassi internazionale delle autorità antitrust”.
    Tutto chiaro? Mica tanto. Già quando l’articolo 36 era in bozza, alla presidenza del Consiglio giunsero gli interrogativi tecnici del ministero della Giustizia retto da Paola Severino e del ministero del Tesoro, posti dagli uomini del viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Ma passò la linea riformatrice di Catricalà. Ben presto, però, dagli uffici legali dei gruppi finanziari sono partite una serie di richieste di chiarimenti, ovvero di contestazioni. C’è chi ha chiesto, ad esempio, se bisogna considerare i singoli settori (credito, finanza, assicurazioni) oppure ritenerli un unico comparto. Altri rilievi sono stati sollevati da una circolare di Assonime, l’associazione delle grandi società per azioni presieduta da Luigi Abete, firmata dal direttore generale, Stefano Micossi, e in un seminario a porte chiuse lunedì scorso al quale hanno partecipato il notaio Piergaetano Marchetti, l’avvocato Luigi Arturo Bianchi e il giurista bocconiano Federico Ghezzi.

    Così il Tesoro già da due settimane ha deciso di avviare un tavolo tecnico, coinvolgendo Banca d’Italia, Isvap (autorità che vigila sulle assicurazioni) e l’Antitrust, oltre al dicastero della Giustizia. Alla fine sul divieto di cumulo degli incarichi trapela da ministeri, autorità e Palazzo Chigi, vigileranno le autorità di settore. Resta un paradosso: la filiera Mediobanca-Generali risentirà meno della norma perché in caso di controllo (come quello di Mediobanca su Generali, attestato dall’Antitrust ma contestato dalle due società) le incompatibilità non scattano e quindi Alberto Nagel potrà continuare a essere amministratore delegato di Mediobanca e vicepresidente di Generali.