I marò e gli ostaggi

Crisi di leadership alla Farnesina, questo è il problema vero

Daniele Raineri

Prima il caso dei due marò, gestito così ingenuamente dall’Italia: fatti sbarcare in India e consegnati di fatto alle autorità locali e ora, com’era prevedibile, finiti in un carcere indiano in attesa di un giudizio per doppio omicidio. Poi il caso della cooperante sarda Rossella Urru, rapita in Algeria da al Qaida, con il pasticcio dell’inviato speciale del ministero degli Affari esteri Margherita Boniver.

    Prima il caso dei due marò, gestito così ingenuamente dall’Italia: fatti sbarcare in India e consegnati di fatto alle autorità locali e ora, com’era prevedibile, finiti in un carcere indiano in attesa di un giudizio per doppio omicidio. Poi il caso della cooperante sarda Rossella Urru, rapita in Algeria da al Qaida, con il pasticcio dell’inviato speciale del ministero degli Affari esteri Margherita Boniver che parte per incontrare il presidente della Mauritania ma è senza volo di stato, considerato “eccessivamente oneroso”, prende un aereo di linea, accumula troppo ritardo allo scalo di Parigi (per colpa di un passeggero che dà in escandescenze, una storia che non c’entra nulla con Boniver) e finisce per mancare l’appuntamento presidenziale. Ora il caso nigeriano: i giornali ci provano, a concentrarsi  sull’“ira contro Londra” del primo ministro Mario Monti e su di lui chiuso a ricevere le notizie nella “war room”. I fatti però vengono fuori sotto una luce cruda: le squadre speciali inglesi erano arrivate in Nigeria già a metà febbraio, ma Monti e i ministri (la “war room” del governo italiano), chiusi in un aereo fermo sulla pista di Belgrado, sono stati avvisati da Londra soltanto giovedì con una telefonata a blitz in corso, quando i due ostaggi in mano ad al Qaida sono morti.

    La politica estera è l’angolo cieco del governo tecnico, quello da cui i problemi arrivano senza essere visti. Per essere più precisi: non tutta la politica estera. Soltanto quella extraeuropea, dicono al Foglio fonti della Farnesina che preferiscono restare anonime. “Il fatto è che per Monti in questi mesi di crisi economica ‘politica estera’ significava Bruxelles, Berlino, Parigi: quindi era tutto in mano al ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, che di Monti è il gran consigliere. I dossier europei che prima confluivano al ministero degli Affari esteri ora sono sistematicamente presi prima a Palazzo Chigi e il rapporto che Monti ha con Moavero è molto più stretto di quello con il nostro ministro, Giulio Terzi di Sant’Agata”.

    A Moavero gli affari sul continente e a Terzi, arrivato dall’ambasciata di Washington, le grane da “jungla nera” come il processo ai marò nel Kerala. Sul caso indiano sono stati commessi numerosi errori, dicono le fonti. Il primo? La decisione del ministro di recarsi laggiù personalmente. C’è tutta una serie di passaggi diplomatici preliminari che è stata saltata. E’ stato “come portare una lite condominiale direttamente alla Cassazione. Prima eventualmente si fanno muovere i servizi, si contattano le famiglie dei pescatori uccisi e, senza che sembri un’ammissione di responsabilità, che non c’è, si offre una transazione. Poi ci sono il console e l’ambasciatore. Terzi è andato subito, gli hanno risposto picche e ora? Il governo s’è bruciato e deve appellarsi fuori, all’Unione europea, alla Nato, alle Nazioni Unite”. Ma il viaggio del ministro era in programma da prima, da gennaio. “Sì, perché c’erano anche ragioni economiche, a maggio sarà lanciato il primo stabilimento indiano di Piaggio. In questo caso si dice: abbiamo rapporti economici ottimi, ci sono degli affari in corso ed è un bene, ma rimandiamo l’incontro ad alto livello a quando avremo fatto chiarezza sulla questione di due militari italiani arrestati contro la legge internazionale che rischiano la pena di morte”.

    C’è chi attribuisce maliziosamente al ministro questa giustificazione, che si sente senza copertura politica, il che lo renderebbe più debole nelle iniziative, ma è una voce che non regge alla semplice constatatazione che si tratta di un governo tecnico.  Non avere padrini politici è la sua forza, non la sua debolezza. Una vaga sponsorizzazione in effetti c’è, quella di Futuro e Libertà, il partito del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ma è una copertura in diminuzione: l’onorevole Gianfranco Paglia, capogruppo di Futuro e Libertà in commissione Difesa, ha detto che “l’Italia in India deve mostrare gli attributi”. Sembra un rimprovero all’incontro scolorito tra Terzi e gli indiani. Il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, ieri ha detto al Messaggero: “Dopo i marò e la Nigeria alla Farnesina sarebbe meglio mettere un politico”.

    E’ come se in veste di tecnico il ministro girasse su un’orbita troppo esterna rispetto a Monti e Moavero e in veste di politico avesse una copertura troppo tenue. E il fatto che alla Farnesina abbia voluto portare i propri uomini dall’ambasciata di Washington, creando uno staff fidato, contribuisce al suo isolamento anche nei corridoi del ministero.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)