Anche nelle strade del Libano Bashar el Assad ti guarda sorridente. Ma i guai stanno già passando il confine
Da settimane ormai il venerdì mattina a Tripoli si manifesta contro il regime di Bashar el Assad. La cittadina, sulla costa settentrionale del Libano, a pochi chilometri dal confine con la Siria e da Homs, è diventata meta e rifugio per centinaia di siriani feriti, trasportati con mezzi di fortuna attraverso la frontiera e accolti nelle case e negli ospedali locali. Secondo le Nazioni Unite, sono circa settemila i rifugiati registrati, che si trovano nelle aree lungo il confine.
Da settimane ormai il venerdì mattina a Tripoli si manifesta contro il regime di Bashar el Assad. La cittadina, sulla costa settentrionale del Libano, a pochi chilometri dal confine con la Siria e da Homs, è diventata meta e rifugio per centinaia di siriani feriti, trasportati con mezzi di fortuna attraverso la frontiera e accolti nelle case e negli ospedali locali. Secondo le Nazioni Unite, sono circa settemila i rifugiati registrati, che si trovano nelle aree lungo il confine. Ma nei villaggi sulle montagne, da molti secoli sicuro rifugio per fuggiaschi di ogni etnia e confessione – drusi, cristiani, musulmani – ci sarebbero centinaia di persone, assenti dalle liste delle organizzazioni umanitarie e delle autorità, ospitati nelle case private da una popolazione con forti legami oltreconfine. Non è ancora chiaro l’effetto che gli eventi siriani e la presenza di rifugiati avranno sulla stabilità di un paese troppo spesso trascinato nel caos dagli eventi regionali.
A differenza della Turchia e della Giordania, che con la Siria condividono confini lungo i quali si combatte, il Libano – dove una parte delle forze al potere è da sempre alleata con Damasco – non ha creato campi profughi e parla malvolentieri di rifugiati: “Il flusso nel paese di alcune famiglie siriane a causa delle turbolenze non rappresenta un grande problema, perché possono stare con i loro parenti”, ha detto recentemente il presidente Michel Suleiman. L’esercito libanese dall’inizio di febbraio blocca l’accesso e le vie d’uscita delle zone frontaliere in cui sono presenti sia rifugiati sia disertori. Anche le organizzazioni non governative e le associazioni umanitarie fanno fatica a raggiungere quelle aree, muovendosi con circospezione. Le autorità richiedono a chiunque permessi specifici.
Gli eventi al di là del confine, le manifestazioni, il flusso di siriani, hanno riacceso in Libano frizioni – lungo linee confessionali – che da decenni dividono il paese sui legami con Damasco. A metà febbraio, pochi giorni dopo aver dispiegato le truppe lungo il confine, il governo ha chiesto ai militari di intervenire a Tripoli per mettere fine agli scontri armati tra la minoranza alauita (che appoggia il regime siriano) e i sunniti, maggioranza nella città e sostenitori della rivolta. In due giorni, tre persone sono rimaste uccise. A innescare le violenze sarebbe stato uno striscione contro Assad appeso a un balcone, in un paese dove per tradizione su ogni palo della luce ogni quartiere mette in mostra la sua fede religiosa e politica: nelle aree cristiane il volto dell’ex presidente Bashir Gemayel si alterna a quello di Michel Aoun; nei sobborghi meridionali di Beirut, il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah compare sorridente vicino al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e al rais siriano Bashar el Assad, le cui immagini abbondano anche nei villaggi della valle della Bekaa.
Da febbraio, Tripoli vive in uno stato di tensione, percepita anche nel resto del paese. Il nuovo patriarca maronita, Beshara al Rai, sostenendo il dialogo, ha detto che nel mondo arabo il regime siriano “è la cosa più vicina alla democrazia”. Con questa frase, Bkerké, sede del patriarcato sulle colline che dominano la baia di Jounieh, si è alienata una parte dei politici cristiani del blocco anti siriano “14 marzo”, protagonista delle manifestazioni che nel 2005 portarono al ritiro delle truppe di Damasco dal paese.
“Temo che gli eventi siriani possano far esplodere la situazione qui”, ammette un giovane attivista libanese, vicino all’opposizione siriana, pensando alla frontiera settentrionale. Ma sono molti i libanesi che guardano altrove, al sud. Le loro preoccupazioni arrivano dalla linea di confine con Israele. “I problemi ci saranno se Hezbollah deciderà di muoversi”, dice una fonte vicina al “14 marzo”. A intimorire, non è soltanto la strada che il Partito di Dio deciderà di intraprendere nei confronti dell’alleato siriano, ma soprattutto un possibile attacco israeliano alle infastrutture nucleari iraniane e le conseguenze che questo avrebbe sui fragili equilibri nella parte meridionale del paese.
Per ora, però, le incessanti notizie di bombardamenti ed esplosioni continuano ad arrivare dal nord. Ieri, secondo gli attivisti siriani, dieci persone sarebbero rimaste uccise in Siria. La presunta diserzione del viceministro del Petrolio, Abdo Hussameddin, comunicata tramite un video su Internet, non ha fermato le violenze. Le dimissioni e la presa di posizione di un unico uomo, poco noto e con grande probabilità un semplice tecnico, non intaccano ancora le sorti del regime di Bashar el Assad.
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