Calci paralleli

Cellino, Zamparini e gli allenatori con la valigia in mano

Sandro Bocchio

Vent'anni dopo nulla cambia: allenare a Cagliari è uno dei mestieri più precari a cui si possa aspirare. Lo scopre per primo Radice, ne è vittima per ultimo Ballardini, appena esonerato per richiamare Ficcadenti, che aveva preso il posto in estate di Donadoni per poi essere scalzato da Ballardini, per l'appunto, a campionato in corso.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Massimo Cellino e Maurizio Zamparini.

    Vent'anni dopo nulla cambia: allenare a Cagliari è uno dei mestieri più precari a cui si possa aspirare. Lo scopre per primo Radice, ne è vittima per ultimo Ballardini, appena esonerato per richiamare Ficcadenti, che aveva preso il posto in estate di Donadoni per poi essere scalzato da Ballardini, per l'appunto, a campionato in corso. Danze ritmate da Massimo Cellino, il presidente che il 20 giugno festeggerà i due decenni dalla presa dell'isola: gli è bastato schitarrare una notte con il suo gruppo rock dopo la batosta di Napoli per chiarirsi le idee e sparigliare quelle altrui. Un allenatore ha la valigia sempre pronta, in Sardegna è sufficiente un trolley. Bastano le dita di una mano per contare i tecnici che hanno resistito una stagione intera, Allegri l'ultimo. Avrebbe potuto sopravvivere addirittura per due anni consecutivi se non si fosse accordato anzitempo con il Milan nella primavera del 2010: Cellino lo ritenne uno sgarbo imperdonabile, nonostante gli ottimi rapporti con Galliani, e cacciò il tecnico a salvezza ampiamente acquisita. Un cupio dissolvi difficile da spiegare, che coinvolge tutti indistintamente: dall'allenatore più scafato a quello alle prime armi, per una serie giunta a trentaquattro cambi. A memoria soltanto uno di loro ha tenuto testa al presidente ed è Giampaolo, capace di dire no quando Cellino lo richiama per il giochetto appena riproposto: sostituire chi lo aveva sostituito, Sonetti nello specifico. Il rifiuto gli vale la rinuncia allo stipendio e gli applausi dei colleghi, ma appare oggi un evento talmente incredibile da poter essere vero.

    Una galleria che si compone di venticinque ritratti, un lavoro in perenne competizione con Maurizio Zamparini, l'altro grande collezionista d'Italia. Quest'ultimo avvia la serie cinque anni prima, suddividendosi tra Venezia e Palermo: trentacinque cambi senza indugiare se si trattasse di cacciare un figlio d'arte (Ferruccio Mazzola, il primo esonerato) o futuri ct (Prandelli e Zaccheroni). Lo fa usando un approccio differente rispetto al collega, più sensibile alle segnalazioni – o alle delazioni, se si è arrabbiata parte in causa – di chi gestisce la squadra da vicino mentre il presidente del Palermo si fida maggiormente delle proprie sensazioni. C'è metodo in Cellino, c'è umoralità in Zamparini, che mette alla porta il carneade Mangia solo perché ha "avuto paura di retrocedere". E tre sconfitte consecutive potrebbero essere il preambolo al quarto cambio di stagione dopo aver visto Pioli cedere il posto a Mangia, che a sua volta l'ha ceduto a Mutti. Il presidente per ora tranquillizza, però l'aveva fatto in passato con altri protagonisti e in identiche situazioni. Nessuno gridi allo scandalo se cadrà l'ennesima testa, il calcio è rimasto uno degli ultimi posti dove si paga di prima persona i risultati negativi, con il licenziamento o l'accantonamento. Anche la Premier sempre presa a modello ha imparato in fretta. Grant, Scolari, Hiddink, Ancelotti e Villas-Boas è la serie infilata da Abramovic, mai quieto dopo aver chiuso la parentesi Mourinho al Chelsea nel 2007. Nomi che sgranati uno dietro l'altro solleticano i moralismi inglesi, ma non fanno impallidire i nostri dirigenti. Anzi, li inorgogliscono.

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