Contro la noia elettorale francese

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Se perfino Thomas Hollande, l’unico che riesce a parlare a mamma Ségolène e a papà François senza far scoppiare crisi di gelosia, dice che quest’anno non c’è quell’aria frizzantina da elezioni che cambiano il mondo che c’era nel 2007, lui che c’era allora e c’è oggi, ha solo cambiato genitore candidato, allora vuol dire che c’è proprio poco di cui appassionarsi nella sfida presidenziale. Meglio allora prendere questo libro, “Ceci n’est pas une autobiographie” e mettersi comodi.

    Se perfino Thomas Hollande, l’unico che riesce a parlare a mamma Ségolène e a papà François senza far scoppiare crisi di gelosia, dice che quest’anno non c’è quell’aria frizzantina da elezioni che cambiano il mondo che c’era nel 2007, lui che c’era allora e c’è oggi, ha solo cambiato genitore candidato, allora vuol dire che c’è proprio poco di cui appassionarsi nella sfida presidenziale. Meglio allora prendere questo libro, “Ceci n’est pas une autobiographie” e mettersi comodi. E’ il memoir di Daniel Filipacchi, che è il presidente emerito di Hachette Filipacchi Médias, di proprietà di Lagardère, cioè è il primo editore di magazine del mondo. Tanto per dire uno: è colui che ha preso Paris Match dall’oblio, dopo averci lavorato come giornalista senza contratto, e l’ha reso una delle riviste più lette in Francia e più citate nel mondo quando si parla di Francia. Ma Filipacchi è anche un appassionato d’arte, soprattutto dei surrealisti (il Guggheneim gli dedicò una mostra alla fine degli anni Novanta), e impazzisce per il jazz, che gli faceva sempre ascoltare suo padre Henri, il primo editore di famiglia.  

    Questa autobiografia ha tutta l’aria di un manuale di storia dell’arte e di letteratura, perché Filipacchi ama i libri e i quadri, e tutti i suoi amici, nuovi o “ereditati” dal papà, sono letterati e artisti, i più famosi del dopoguerra. Nel triangolo Parigi-New York-Bahamas si articola la vita di questo signore silenziosissimo, con gli occhiali scuri, che ha inventato alla fine degli anni Cinquanta “Salut le copains”, una trasmissione radiofonica su Europe 1 dedicata al rock’n’roll (s’ispirava a un format che andava forte in America) che poi è diventato la testa di un magazine da un milione di copie vendute al mese. Da qui parte la passione per le riviste, che poi diventa un impero mediatico come non se ne vedono più.

    La sua è la storia dell’enfant du siècle come dicono i suoi tanti estimatori, ma anche di un imprenditore molto francese, molto riservato, con la passione per l’arte e per la carta, che ha saputo intercettare e raccontare come nessuno la Francia degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. “Sono stato il primo paparazzo – dice – ma à la française, complice con le sue vittime. Oggi le cose sono molto diverse”. E cita un personaggio di Françoise Sagan (che ovviamente era amica di Filipacchi: lui le lesse le bozze di “Buongiorno tristezza”) che diceva: “Non sappiamo mai che cosa ci riserva il passato”.