Cameron sale sull'Air Force One con Newsweek in bella vista

Paola Peduzzi

David Cameron non è fortunato con i tempi, ogni volta che “arriva il suo momento” e i giornali britannici creano aspettative da thriller, succede qualcosa di più rilevante che fa passare il premier in secondo piano. Prendiamo la visita in America, per esempio. Oggi Cameron arriva a Washington per incontrare Barack Obama, una visita in grande stile – con Samantha, la first lady inglese, che ha, lei sì, una special relationship con Michelle; ma Cameron non vuole essere da meno.

    David Cameron non è fortunato con i tempi, ogni volta che “arriva il suo momento” e i giornali britannici creano aspettative da thriller, succede qualcosa di più rilevante che fa passare il premier in secondo piano. Prendiamo la visita in America, per esempio. Oggi Cameron arriva a Washington per incontrare Barack Obama, una visita in grande stile – con Samantha, la first lady inglese, che ha, lei sì, una special relationship con Michelle; ma Cameron non vuole essere da meno: dopo il ping pong e il barbecue a Londra, questa volta Cameron salirà sull’Air Force One per accompagnare il presidente americano in Ohio e lì giocare a basket insieme.

    Il momento di gloria dei rapporti tra Inghilterra e America è stato però offuscato da due tragedie, pure se di proporzioni completamente diverse. Prima tragedia: un soldato americano ubriaco ha fatto strage di bimbi e donne in Afghanistan, gettando luci sinistre su un già sinistrissimo ritiro. L’Inghilterra si ritirerà nel 2014, ma teme che l’accelerazione del disimpegno americano – 30 mila soldati in meno solo quest’anno – si trasformi in una minaccia per i soldati inglesi, che già presidiano zone pericolose e si troveranno sempre più soli. Seconda tragedia (politica, non ci sono morti, per fortuna): Steve Hilton, braccio e mente e molto di più della parabola politica di Cameron, si prende un anno sabbatico, da aprile va a vivere in California, dove lavora sua moglie. Hilton dice che tornerà, ma il suo rientro ha molto a che fare con quello che il governo fa e farà: con la sua fuoriuscita, per quanto temporanea, Hilton ha voluto sottolineare che l’esecutivo (leggi: il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne) non è abbastanza coraggioso con le riforme e con la crescita, o lo è meno di quanto l’artefice di questa stagione politica dei Tory s’aspettava. O cambiate, o non torno più, è in sintesi il messaggio di Hilton.

    Cameron prepara la valigia per Washington con i conservatori in rivolta (la settimana prossima si decide il budget, è lotta fratricida sulle tasse), i preti in subbuglio (il premier sostiene i matrimoni gay, contro tutto l’establishment religioso del paese) e l’Afghanistan in fiamme. Non è esattamente uno di quei contesti in cui parti col cuore leggero, ma per fortuna c’è Niall Ferguson.

    Ferguson è uno storico inglese parecchio affermato che si è trasferito in America con la nuova moglie – Ayaan Hirsi Ali – e che, su Newsweek diretto da Tina Brown, sta vivendo una seconda giovinezza (dicono che l’effervescenza sia dovuta proprio alla Hirsi Ali, di cui Ferguson è perdutamente innamorato, tanto da aver lasciato la moglie con cui stava da quasi vent’anni, ma sono banali pettegolezzi di signore dal parrucchiere). In ogni articolo dice qualcosa di sorprendente, Ferguson, sia che parli di Iran sia che parli di politica americana, e l’intervista che ha fatto a Cameron è la sintesi perfetta di questo stato di grazia (di Ferguson, naturalmente): persino l’acciaccato premier inglese ne esce come un grande statista.

    Il gioco di Ferguson è: quanto di Churchill c’è in Cameron? Seguendo la storia e le sue intenzioni, lo storico-giornalista riesce a far dire al premier inglese verità oscene, tipo questa sulla Siria: “Credo che il Kosovo abbia dimostrato che ci sono occasioni in cui la responsabilità di proteggere e di salvare vite umane, di fermare le stragi, di agire in un modo che sia moralmente giusto ma anche di interesse nazionale – ci sono occasioni in qui devi fare tutto questo senza una risoluzione dell’Onu. Ho sempre pensato che sia una scusa bizzarra quella di dire che, siccome c’è un veto russo (a una risoluzione contro la strage siriana, ndr), all’improvviso tutte le giustificazioni morali a un intervento siano lavate via. Non ci credo”. Che Cameron voglia fare con Obama come Churchill fece con Roosevelt, cioè far pressioni per fare una guerra? In Libia è già andata così, in Iran il premier inglese è più cauto – vuole pressioni e sanzioni, spera che Israele non faccia blitz, ma nessuna opzione va esclusa per evitare la Bomba di Teheran – e in Somalia c’è già un piano deciso di recente con Hillary Clinton, con la quale l’intesa è perfetta, secondo Ferguson.

    Poi c’è l’Europa, e qui Cameron è molto più Thatcher che Churchill (si resta in area di grandi statisti). Secondo Ferguson, il premier britannico ha molta voglia di rinsaldare i rapporti con l’America e altrettanta voglia di allentarli con Bruxelles. Immagina un’Europa “che va dall’Atlantico agli Urali, che include la Turchia, un mercato vitale di innovazione. Un continente di grande volontà politica, ma che non sia uno stato federale. Non ci sarà un paese chiamato Europa”. Bisogna vedere se il resto della compagnia dei Ventisette continuerà ad accettare la visione britannica, e a quale quota fisserà il prezzo. Ma nella sua fierezza thatcheriana, Cameron può non preoccuparsi, anche perché i guai sono altri: l’austerità e i suoi effetti poco soddisfacenti. Ferguson cita i dati incerti, ma poi lascia che il premier ribadisca indisturbato la sua ricetta: “Siamo fiscalmente conservatori e monetariamente attivi, e questo credo che sia il giusto equilibrio”. Con un taglio delle tasse, per stimolare la crescita, ma responsabile: “Voglio vedere dove prendiamo i soldi per coprire i tagli”, dice Cameron, ribadendo che “una crisi del debito non la guarisci con più debito” – e su questo convincere Obama sarà impossibile.

    Ferguson poi coccola la vanità cameroniana dicendo che è “il primo premier della storia che sembra più giovane dopo due anni di mandato” (al contrario di Obama i cui capelli bianchi hanno tenuto banco sui giornali per quattro anni); concedendogli di essere scaramantico: “Spero di non essere il premier che passerà alla storia per la dissoluzione del Regno Unito” a causa del referendum per l’indipendenza scozzese; e sottolineando il suo virtuosismo antichurchilliano: “Vado a letto presto e mi alzo presto, alle 5,45 del mattino sono al tavolo della cucina a fare i compiti”.

    Diligente, conservatore dove serve, ma liberale in tutto il resto. Visto così, Cameron sembra il premier dei sogni. Più prosaicamente, il Financial Times scrive: caro premier, va’ in America e cerca di spiegare a Obama come farai a essere potenza ora che stai tagliando tutti i fondi per la difesa e la sicurezza, così intanto anche noi inglesi ascoltiamo e capiamo. Obama sarà lieto di avere un consiglio, su questo.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi