Il soldato pazzo e il conto della guerra
Trasferimento dei prigionieri di guerra, abbandono delle basi americane dopo il 2014, cessazione dei raid delle forze speciali contro i talebani, leggi punitive contro le donne.
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Trasferimento dei prigionieri di guerra, abbandono delle basi americane dopo il 2014, cessazione dei raid delle forze speciali contro i talebani, leggi punitive contro le donne. Ogni volta che succede un evento di guerra per cui l’America è costretta a scusarsi, il presidente afghano Hamid Karzai ne approfitta per segnare un punto a suo favore – che è anche il favore dei talebani, con i quali è in programma un accordo futuro di spartizione del potere politico – e a svantaggio degli alleati americani, sempre più prigionieri di una posizione a metà tra la debolezza negoziale e l’imbarazzo.
La strategia americana per lasciare l’Afghanistan si rompe sotto gli occhi dell’Amministrazione Obama per colpa di fatti che appartengono a una categoria precisa e speciale, quella dei “fatti peggiori che potrebbero accadere in questo momento”. Prima i soldati che si filmano mentre umiliano i cadaveri afghani. Poi il rogo colposo di copie del Corano, incenerite con noncuranza assieme ad altri rifiuti. Domenica notte la strage deliberata e casa per casa di sedici civili compiuta da un soldato impazzito.
Il presidente afghano Hamid Karzai ha imparato a navigare di crisi in crisi, di episodio orrendo in episodio orrendo, e a trarne vantaggio. Dopo le proteste violentissime scatenate in tutto il paese dal caso Corano è riuscito a ottenere il passaggio di responsabilità sui detenuti dagli americani agli afghani e l’ha ottenuto pure per quanto riguarda Bagram, il carcere di massima sicurezza paragonato dalla rete americana Cbs a una “Guantanamo afghana”, dove la Nato custodisce i prigionieri più importanti della guerra, compresi alcuni leader dei talebani e di al Qaida. La settimana scorsa il suo consigliere più alto in grado, Ibrahim Spinzada, ha visitato la Guantanamo di Cuba per incontrare di persona cinque capi talebani che Karzai ha chiesto siano liberati dagli americani come gesto di buona volontà. I cinque, considerati da alcuni funzionari di Washington che intendono restare anonimi “tra i più pericolosi detenuti della base”, hanno confermato a Spinzada di accettare il trasferimento verso il Qatar, come parte dell’accordo, anche se Obama non può ancora esprimersi: ogni decisione sui prigionieri di Guantanamo – dice una portavoce della Casa Bianca, Caitlin Hayden – “dev’essere fatta secondo la legge e dopo una consultazione con il Congresso”. Non importa: Karzai punta alle chiavi di entrambe le prigioni e sabato, come fosse cosa già fatta, ha detto in pubblico che la partenza dei cinque da Cuba “aiuterà enormemente il processo di pace”.
Il giorno seguente, dopo avere definito la strage di civili innocenti “un atto intenzionale” – che è la stessa accusa mossa dal portavoce dei talebani – il presidente afghano ha parlato del patto strategico che vorrebbe firmare con gli Stati Uniti sul dopo ritiro, ma prima ha posto come condizione la fine dei raid notturni. E’ una questione delicata: sono le incursioni a sorpresa delle squadre speciali americane che stanno decimando i comandanti di medio basso livello dei talebani. Questo tipo di pressing militare sui guerriglieri, individuati grazie a intercettazioni telefoniche e a soffiate, è incessante, a volte ci sono dieci raid per notte, e fa parte della volontà Nato di portare i talebani al tavolo della pace in una condizione di debolezza, pronti a trattare. Kabul sostiene però che questo tipo di azioni urta il sentimento popolare, i soldati fanno irruzione senza troppi riguardi nelle case dove ci sono anche donne, sono capitati scambi di persona, spesso finisce con conflitti a fuoco.
Non è un caso che appena uscita la notizia della strage di Panjiway i commentatori più realisti abbiano osservato: “Ora Karzai otterrà anche la fine dei raid notturni”. Il presidente sostiene che America e paesi Nato sono impegnati a dare all’esercito afghano 4,1 miliardi di dollari l’ anno fino al 2024, ma ha ricordato che non c’è nessun vincolo a carico degli afghani su come spenderli, “possiamo anche usarli per comprare armi in altre nazioni”. In cambio, ha ricordato, non offriamo nessuna garanzia sulla presenza di basi militari americane dopo il ritiro, che si dovrebbe concludere entro il 2014. “Non vogliamo che il patto strategico con gli americani ferisca la nostra sovranità nazionale e la nostra indipendenza”.
Le condizioni sono pesanti. Kabul si prende i prigionieri, vuole la fine delle retate contro i talebani, incassa un volume enorme di aiuti bellici e per adesso non offre basi – a cui la Casa Bianca non intende rinunciare (l’azione a sorpresa contro Osama bin Laden in Pakistan? E’ partita da un aeroporto militare in Afghanistan).
Per rendere più rotonda la linea politica di progressivo appeasement con i talebani, Karzai difende la dichiarazione del Gran consiglio degli ulema afghani sul ruolo delle donne nella società. Il Gran consiglio venerdì scorso ha sostenuto la necessità di una totale separazione fra i sessi sul lavoro, nell’educazione e in tutti gli altri campi e ha confermato la regola dell’accompagnamento obbligatorio per le donne da parte di un parente stretto durante gli spostamenti. Le attiviste afghane hanno definito “non eseguibile” la dichiarazione, “fa parte degli sforzi per implementare l’ideologia talebana e per lastricare la via dei negoziati di pace con i talebani”. Karzai ha confermato di considerare “vincolante per lui” ogni dichiarazione del Consiglio.
In questi giorni, anche se la questione è sospesa per non accavallare troppe ammissioni di debolezza le une sulle altre, l’Amministrazione americana sta valutando anche gli ultimi ritocchi da dare alla richiesta ufficiale di scuse al Pakistan per l’uccisione di 24 suoi soldati in un caso di fuoco amico, se ne faranno latori il segretario di stato Hillary Clinton e il capo di stato maggiore Martin Dempsey. Fare la pace con Islamabad è essenziale per il ritiro: la Nato deve uscire via terra dall’Afghanistan e la rotta migliore per movimentare mezzi e materiali pesanti fino al mare passa da sud, attraverso il Pakistan, ma oggi è ancora bloccata.
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