I consigli di Scaroni al governo per un'Italia libera da divieti retrogradi

Michele Arnese

Ha rassicurato (ma non troppo) sugli approvvigionamenti di petrolio e di gas. E ha svelato che al governo sta chiedendo, finora inascoltato, di seguire l’esempio inglese, americano e norvegese per abolire i vincoli restrittivi allo sfruttamento di petrolio e gas in tutti i mari italiani.

    Ha rassicurato (ma non troppo) sugli approvvigionamenti di petrolio e di gas. E ha svelato che al governo sta chiedendo, finora inascoltato, di seguire l’esempio inglese, americano e norvegese per abolire i vincoli restrittivi allo sfruttamento di petrolio e gas in tutti i mari italiani. Era un Paolo Scaroni più spigliato del solito quello che ha partecipato due sere fa a un incontro a porte chiuse organizzato dall’associazione Ruling Companies.

    Agli oltre trecento manager, capi azienda e consulenti che lo hanno ascoltato al Four Season Hotel, l’amministratore delegato dell’Eni ha parlato della “sicurezza energetica dell’Italia nel quadro globale”. Ma ha gelato subito l’uditorio con una frase a sorpresa: “I discorsi sul petrolio e sulle minacce geopolitiche c’entrano poco”. Questo perché “il mercato del petrolio è globale. Il petrolio lo si trasporta facilmente in nave, da dovunque venga prodotto e dovunque serva”. E la Libia? E la minaccia iraniana? E la situazione esplosiva in Siria? E i sussulti delle primavere arabe? “La crisi libica – ha detto Scaroni – non ha creato problemi di approvvigionamento né a livello mondiale né nel mercato mediterraneo”. “Nel mondo del petrolio, il problema non è se l’abbiamo, ma quanto dobbiamo pagarlo”. E tra minaccia iraniana, situazione siriana e primavere arabe, ha ammesso Scaroni, di sicuro il prezzo s’è impennato: “Nel caso in cui ci fosse una chiusura dello Stretto di Hormuz, alcuni analisti predicono che il petrolio andrà a 250 dollari al barile. Ma si tratta di un dato buttato là così. Nessuno sa davvero a quanto il prezzo potrebbe schizzare”. Quindi nessun allarme, anche perché “di petrolio ce ne sarà per i prossimi cento anni. Ma scommetterei che andremo ben al di là visto che le nuove tecnologie ci consentono di trovare nuovo petrolio. Ne è stato scoperto nel pre sale del Brasile, l’abbiamo trovato nel mare di Barents, e in Africa entrano di continuo nuovi paesi nel club dei produttori: ci aspettiamo molto dal Ghana, Togo oltre che dal pre sale in Angola”.

    Rassicurazione anche sul gas, ma pure in questo caso senza eccedere. Un evento ha sparigliato le carte: “A partire dal 2008, una rivoluzione tecnologica negli Stati Uniti ha impattato l’Europa. Il perfezionamento del “fracking” ha consentito lo sfruttamento, a bassi costi e su larga scala, dello shale gas negli Stati Uniti, ovvero il gas intrappolato nell’argilla”. Il risultato è stato che gli Stati Uniti, che si pensava sarebbero diventati grandi importatori di gas, si sono “d’improvviso assicurati l’autosufficienza per decenni a venire”. E l’Italia? “Qui l’Eni ha fatto molto. E’ l’unico paese europeo che dispone di quattro gasdotti che portano gas da direttrici e da paesi diversi”.

    Ma è stata l’ultima parte del discorso di Scaroni ad attirare le maggiori attenzioni. Sulla difficoltà italiana nel realizzare infrastrutture nell’interesse generale, “non sarebbe una cattiva idea la smettessimo di tirarci la zappa sui piedi”. “Ricordate l’incidente della BP nel Golfo del Messico? Ebbene, unica al mondo l’Italia ha risposto con una legge che impedisce lo sfruttamento di petrolio e di gas praticamente in tutti i mari italiani. A nessuno è mai venuto in mente di proibire lo sfruttamento del gas nelle proprie acque territoriali”. Anche gli stati che dopo l’incidente nel Golfo del Messico – ha aggiunto – hanno adottato moratorie per l’estrazione di petrolio le hanno poi revocate: “Sto parlando dell’Inghilterra, della Norvegia e degli stessi Stati Uniti che hanno ripreso a estrarre petrolio a 4.000 metri di profondità. Paesi che non mi risulta abbiamo una vocazione ambientalista e una regolamentazione ambientale più debole della nostra”. Ecco dunque un auspicio, confessato ai trecento partecipanti all’incontro: “Eliminare questo divieto consentirebbe all’Italia di estrarre petrolio e gas. Queste risorse porterebbero investimenti, creazione di 70 mila nuovi posti di lavoro, 40 miliardi di euro di entrate per lo stato in 20 anni, un risparmio sulla bolletta energetica di 120 miliardi di euro nello stesso periodo e – non ultimo – a rafforzare ulteriormente la sicurezza dei nostri approvvigionamenti”.