La divina involontaria
Fenomenologia di Fornero, ministro senza “la” e senza ma
Assolutamente non negoziabile: una frase che per Elsa Fornero, ministro del Welfare nel governo Monti, dev’essere come il braccio del dottor Stranamore, il riflesso indomabile da domare. Sembra sempre lì lì per uscirle di bocca, si capisce che vorrebbe dirla a ogni riforma, e in qualche modo la dice, anche se il giorno dopo le tocca metterci una toppa (le risorse “ci sono”) o un’allusione al dialogo (“testo non blindato, l’accordo si può chiudere”).
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Dice un cronista inglese: andatevi a rivedere “The Iron Lady”, la scena in cui Margaret Thatcher (la Meryl Streep da Oscar) si impunta sugli orecchini di perle che i consulenti d’immagine vorrebbero farle togliere, al pari del cappello, per massimizzare l’appeal da leader che potrebbe diventare – peccato che l’orecchino di perla, dice Thatcher-Streep, sia “absolutely non-negotiable”.
Assolutamente non negoziabile: una frase che per Elsa Fornero, ministro del Welfare nel governo Monti, dev’essere come il braccio del dottor Stranamore, il riflesso indomabile da domare. Sembra sempre lì lì per uscirle di bocca, si capisce che vorrebbe dirla a ogni riforma, e in qualche modo la dice (se dite no niente paccata di miliardi, indietro non si torna, andiamo avanti senza questo e senza quello), anche se il giorno dopo le tocca metterci una toppa (le risorse “ci sono”) o un’allusione al dialogo (“testo non blindato, l’accordo si può chiudere”).
Non conosce l’arte della dissimulazione, Elsa Fornero, o la conosce troppo bene?, si sono chiesti gli osservatori davanti al ministro che piangeva mentre annunciava la stangata pensionistica, e lì per lì parevano lacrime catartiche (discussioni con gli altri? pressione mediatica?) più che esplosione d’empatia. E’ stato l’inizio di tutto, della sua metamorfosi in “altro da” una professoressa tecnica. Ed è da quel giorno che il giudizio su Fornero è appeso a una doppia lettura, a una doppia natura che si intravede: si emoziona davvero oppure no? Spiazza per calcolo o per moto dell’animo?
“Sul lavoro si va avanti”, ha detto Elsa Fornero giorni fa, “rattristandosi” intanto, parole sue, nel vedere gli stipendi italiani tra i più bassi stipendi d’Europa. Poi si è trovata a discutere con Monti di “risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali” (ci sono o no, le risorse? Si può fare una riforma del lavoro con la sola copertura del recupero dell’evasione fiscale? Monti forse pensava di no, e alla fine imponeva uno slittamento). “Procediamo comunque”, aveva detto Fornero, quando ancora i dubbi non venivano dal governo ma dal Pd, e in quel “comunque” si è inserita la pausa di riflessione, la vena di tormento che il ministro ha mostrato nell’Upper West Side, a New York (dove si intratteneva con i giornalisti prima e dopo l’incontro Onu sulle mutilazioni genitali femminili) o nella brughiera piemontese (dove dà sfogo all’esprit paripatetico nelle lunghe passeggiate con il marito economista Mario Deaglio) o nella fantomatica caserma dove il passaparola romano, rilanciato un giorno da Concita De Gregorio su Twitter, vuole che il ministro dimori – perché cercare una casa vera costa tempo, perché la frugalità non costa denaro, perché la famiglia è altrove. Qualsiasi sia la motivazione, l’effetto è lo stesso: effetto “loden di Monti” al cubo, e ansietà non robotica che s’affaccia. (Non ha l’aria serena della professoressa arrivata e realizzata, Fornero, anche se era già arrivata molto prima che Monti la convocasse).
Cento giorni, le lacrime, il sangue, e ci si ritrova a chiedersi com’è che Elsa Fornero, in cento giorni, si è trasformata da figurina di ministro tecnico in icona dell’assolutamente non negoziabile, e da icona dell’assolutamente non negoziabile in icona della donna di stato che negozia con tempi suoi. E sono paragoni che piovono (“altro che Angela Merkel”), nostalgie di Nilde Iotti (persino) che trovano materia nuova per paragoni arditi. C’è Daniela Santanché che vorrebbe fare di Fornero “una sorella” a patto che “disobbedisca anche ai suoi e sia per molti ma non per tutti”; c’è Walter Veltroni che la emula sull’articolo 18 (sgridato da Stefano Fassina e da Nichi Vendola); c’è Enrico Letta che l’invita al convegno Arel; c’è Pier Luigi Bersani che ha l’inferno nel partito (causa riforma Fornero) mentre sua figlia Elisa dice di preferire il ministro a Belén. E c’è Guido Crosetto che parla senza freni, su RadioDue, a un “Giorno da pecora”: è la nostra Thatcher, ci sta insegnando a fare politica, chapeau. (Interpellato, Crosetto ha ribadito: “Ci sono ministri con più galloni di lei che ne hanno un quinto, del suo coraggio”).
Ci sarà stato un giorno in cui Margaret Thatcher, Nilde Iotti, Angela Merkel, Tina Anselmi, Golda Meir, Sirimavo Bandaranaike, da quello che erano (nel bene, nel male), sono diventate simbolo. Fornero, dopo cento giorni, sta trascolorando, nelle parole di detrattori e fan, in qualcosa di diverso dalla docente della Torino liberal-gauchista con affaccio buono su Banca Intesa e buoni auspici del banchiere e imprenditore Enrico Salza. Di Fornero sempre si parla, a Fornero sempre si allude (dal bar sotto casa all’“Infedele” a Ballarò). Per qualcuno Fornero è il nemico che ci mette la faccia. Per altri il vero braccio destro (di Monti). Per altri ancora, si qualifica per quello che non è: “Purtroppo non è lady Castle”, dice Ritanna Armeni. Chi fosse lady Castle l’ha raccontato il regista Nigel Cole nel film “We want sex”, storia romanzata della lotta delle operaie tessili inglesi per la parità di retribuzione. Era il 1968 in una fabbrica Ford e la pasionaria Rita O’Grady, di fronte ai maschilismi del sindacato, trovava eco nelle parole della deputata Barbara Castle, decisa a scalfire i maschilismi parlamentari (anche laburisti). “Lady Castle avrebbe già risolto la questione delle dimissioni in bianco. Fornero è donna importante, interessante, ma non valorosa, in questo senso”, dice Ritanna Armeni che pure, nel ministro, vede la “convivenza” di due anime in lotta: “Ha origini operaie e competenza tecnica rigorosa, e lo dico con accezione negativa: tecnica dei centri bancari. Ma è questa contraddizione che fa intravedere una profondità. Mi chiedo però se Fornero saprà farla valere in una politica di uomini; se sarà davvero capace di una rupture, come Margaret Thatcher, o se resterà soltanto la più intelligente – o la più diligente – di questo governo”. Certo è, dice Armeni, “che Fornero, a differenza di Monti, mostra senza arroganza la curiosità di chi entra in un mondo nuovo e ha voglia di sperimentarsi”.
Corrado Passera, più svelto a muoversi tra nuovi centri, è già quotato per il “dopo”, ma chissà. Lucia Annunziata fa una profezia: “Sono convinta che entrambi i nomi dei prossimi candidati premier verranno da qui, e tra quei due nomi non ci sarà Monti”, dice sottolineando la “torinesità di Elsa Fornero, una torinesità che la rende istintivamente politica. Torino è la città che ha visto in azione le Br, la città della Fiat e degli Agnelli. A Torino, nella borghesia cattolica ‘azionista’, diciamo così, è difficile essere puramente tecnici. Fornero doveva essere la madamina piemontese che spicciava le pratiche e invece, grazie alla sua cocciutaggine e alla sua politicità, e forse anche grazie a quel suo primo pianto, si è tolta di dosso il ruolo di professore. Dice cose che tradiscono la sua attenzione alla parte debole, vuole il confronto, ha incontrato prima Maurizio Landini di Sergio Marchionne. Non si è fatta mettere il cappello in testa dal più sfumato Monti o dal più istituzionale Passera. E’ cattolica senza essere di Cl o di Sant’Egidio. E’ uno dei pochi ministri di testa, corpo e cuore”. “I tre ministri donna, Fornero in testa”, dice Lucia Annunziata, “emergono perché hanno in mano dossier che entrano direttamente in pezzi di società. Questo le tiene fuori dal portone, metaforicamente in mezzo alla strada, cosa tanto più importante in un governo che non è passato dalla legittimazione popolare alle elezioni”.
Si erano visti nel ’93, i prodromi di quella “torinesità politica”. Era l’anno buio di Tangentopoli, e Fornero, con il marito Mario Deaglio, si trovava in prima linea per la corsa di Valentino Castellani a sindaco di Torino, lista di centrosinistra allargato. Castellani vinse, e Fornero divenne consigliere comunale inflessibile (scrive Sergio Luciano su Panorama: “Ne fece le spese un assessore ai Cimiteri, praticamente spinto alle dimissioni”). Quella stagione, prova generale di un’Elsa Fornero engagé, fu un momento “unificante e motivante per un’intera classe politica” (l’ha detto Franco Debenedetti, raccontando del passato del ministro, quando alle cene in casa sua mangiava carote arrosto facendo la scarpetta con il sugo cucinato dalla tata di casa Debenedetti). Oggi Debenedetti dice che Fornero è una che “si appassiona a tutte le cose che fa, una che sta sul pezzo, con indefessa concentrazione. Grazie alla sua prontezza, quello delle pensioni resta un episodio per certi versi isolato nel percorso politico del governo Monti. Fornero sapeva da tempo quel che voleva e l’ha tirato fuori, così è riuscita a piazzare una mossa decisa nel momento di massima debolezza delle forze politiche: e ora ha il suo tesoretto di credibilità. Le servirà per la riforma del mercato del lavoro, che si presenta diversa per contesto politico e per oggettiva maggiore complessità: perché per accompagnare il lavoratore nella ricerca di un nuovo impiego, qualcuno deve mettere le risorse. E poi perché c’è da superare il noto tabù: gli auguri glieli ho mandati con una copia del mio ‘Non basta dire no’. Fornero è molto ferma, e si dimostra anche molto attenta alle parole che dice. Della sua caparbietà credo i suoi interlocutori si siano già accorti. Se vorrà assumere in seguito altri incarichi politici? In questo momento, scommetterei che direbbe di no. Tra un anno, vedremo”.
Camminare, snebbiarsi, andare dritti al punto, a un punto. Elsa Fornero cammina spedita da quando suo marito, non ancora marito, cercava di conquistarla facendole fare giri impossibili per la campagna inglese – pioggia e sole, sole e pioggia, vento, troppe nuvole che corrono e paesi dove l’ufficio postale è l’unica occasione di mondanità. Ed è camminando nei corridoi dell’Università di Torino, poi, da ex allieva di Onorato Castellino, esperto di previdenza, che Fornero, con passo lento, senza correre, si è trovata a frequentare Mario Monti.
Voleva andare in America, è andata in Europa (a insegnare a Maastricht). Voleva quasi quasi fare il liceo classico, ma “per fortuna”, ha detto, si è iscritta a ragioneria, motivo per cui poi ha studiato Economia. Vedeva i compagni di corso perdere tempo tra birre e fracasso per locali, ma li lasciava andare, vera secchiona senza complesso. E oggi, dal Pd, l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, suo ex compagno di banco a ragioneria, dice di “riconoscere lo stile Fornero”, drastico e “inconsueto” anche allora. “Io però”, dice Damiano, “le consiglio una maggiore duttilità, una maggiore capacità di ascolto. ‘Riformare gradualmente’, questo le ho detto, così come nel mio partito dico che non mi ritrovo nei giudizi acritici pro o contro governo tecnico di molti miei colleghi. Detto questo, le scelte di Fornero non sono tecniche, sono politiche. E non penso che un governo tecnico non sia politico, anche se mi auguro che il prossimo sia fatto da leader politici”.
La sveglia alle cinque, la nebbia attorno, il pendolarismo Torino-San Carlo Canavese ogni giorno senza eccezioni, i libri di Agatha Christie che da adolescente rapiscono come un vero viaggio sull’Orient Express, i giri in Vespa con padre e sorella, la passione per la moda anche nel mezzo della recessione, l’essere mamma e nonna, il raro svago, il trasgredire al rigore – al massimo – con un giro in profumeria: odiata o stimata, in ogni caso studiata, Elsa Fornero, con tutta la sua vita, suscita curiosità in estimatori e non (come vivrà, il ministro che smantella lo stato sociale?, si chiede, prevenutissimo, il cittadino anticasta, sperando di trovare la pecca). E’ un divismo al contrario, e anche per questo Fornero è già molto oltre la fototessera da “tecnico” che compariva sui giornali nei suoi primi giorni al governo, anche se ha gli stessi capelli ramati, lo stesso sorriso d’allarme, le stesse giacche di colore sfacciato, un pugno nell’occhio nel gruppo montiano (e magari un segnale subliminale di fiducia “a medio termine”, il solo futuro cui guarda Fornero).
Non ha soddisfatto il sospetto insistente di chi temeva conflitti d’interesse e inciuci ai vertici di Intesa SanPaolo, il ministro. “Mia figlia si difende da sola”, ha detto quando un presunto reato di raccomandazione si è profilato all’orizzonte (in quel momento Franca Fossati, giornalista e femminista storica, ha pensato “però, mi è simpatica”, anche se poi non l’ha vista emergere “come paladina di genere”). Eppure lei, Fornero, ha tutta l’aria di volerlo essere, paladina di genere. Non vuole il “la” davanti al cognome, si indigna per le donne tutte. E’ arrivata al ministero del Welfare, ha preso le deleghe delle Pari opportunità, è andata alla prima riunione con il Forum giovani e si è molto indispettita perché non c’erano ragazze (“Se nemmeno i giovani comprendono il valore del contributo delle donne è un segnale culturalmente negativo”). Ha detto che a volte la offende il modo in cui la donna è rappresentata in tv (“meglio cambiare canale”, e non ce l’aveva con Belén a Sanremo). Ma quando ha ricevuto la petizione contro le dimissioni in bianco, Fornero non ha agito subito. Ha detto “farò” (e qualche giorno fa ha promesso di inserire nuove norme nel pacchetto sul lavoro). La giornalista Marina Terragni però si dice perplessa, anche se il giorno in cui Fornero ha pianto aveva scritto sul suo blog che “era il ministro più bello del mondo”. Era “pura irruzione di un linguaggio diverso”, dice Terragni, oggi meno entusiasta per via di quelle che le sembrano “le esitazioni di una creatura anfibia” sul tema “lavoro, donne e welfare”.
Sul lavoro non ha esitato, Fornero. Ha detto che l’articolo 18 non era un tabù, e ha detto a Susanna Camusso (che l’aveva accusata di voler vincere “contro i suoi figli, anzi contro i suoi nipoti”) che il suo linguaggio era vecchio come gli anni di piombo. Su Sky, agli “Sgommati”, le rappresentano così, le due antagoniste: Fornero col birignao che si affaccia di sera alla finestra con Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno, e Camusso sotto casa che urla “scendiiii” con sguardo truce.
Cancellieri in romanaccio rincuora, Fornero scuote i capelli trasecolando. “Tre donne” (c’è pure Emma Marcegaglia) che trattano sul lavoro, ha scritto l’agenzia Bloomberg, ma poi è lei, Elsa Fornero, che all’estero ha bucato lo schermo (il ministro che piange, il ministro che non guarda in faccia aziende e sindacati). Non a caso il critico televisivo del Corriere Aldo Grasso ha scritto di lei (“Fornero si commuove davanti alle telecamere ma, come De Amicis, fa soprattutto piangere, con una punta di compiaciuto sadismo. Con Marcegaglia e Camusso pretende il lei, le riforme si fanno anche senza quella palla al piede della concertazione. E solo una maestrina dalla penna rossa poteva trattare Bonanni e Angeletti come due incalliti ‘fuori corso’ e il sottosegretario Martone come un suo assistente un po’ sfigato”).
Non si sa dove si sia collocata, per Fornero, la linea d’ombra tra professoressa tecnica e ministro che fa, rompe, si angoscia, dice di voler “scardinare” il meccanismo dei salari e non tollera ottimismi alla Corrado Passera (gliel’ha detto pubblicamente: sei troppo “cuore oltre l’ostacolo”). Certo è che il paragone britannico prende piede sì e no. “Mai e poi mai Margaret Thatcher avrebbe fatto quello che ha fatto Fornero. Thatcher non piange, Thatcher non sorride, Thatcher ha occhi da Caligola e labbra da Marilyn, per citare François Mitterrand”, dice il giornalista inglese Willy Ward. E al professor Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, il solo accostamento tra le due donne pare roba “da ubriachi”: “Ma quale Thatcher. Fornero è al centro della scena, questo sì. E i governi tecnici non esistono: una volta al governo si fa politica, si fanno scelte che danneggiano alcuni e favoriscono altri. Detto questo, il ministro del Welfare è uno dei pochi veri tecnici, si occupa di ciò di cui si è occupata tutta la vita: una materia cruciale in questo momento”. Al contrario Sergio Cofferati, da subito “nemico” del governo Monti, pensa che “il mercato del lavoro non sia materia del ministro Fornero”, sebbene Fornero sia persona “di grande esperienza”. Dire Thatcher sembra alquanto “esagerato”, a Cofferati, tanto più che è convinto che alla fine Fornero “non deciderà da sola”. Qualcosa dello stile Fornero oltretutto lo disturba (“perché tutte quelle interviste, tutti quei commenti? Chi gestisce in prima persona materie così delicate dovrebbe condannarsi al silenzio”).
Cento giorni, percorsi a ritroso, portano di nuovo lì, a quel pianto ambivalente (“guarda tu questa che fa il coccodrillo mentre ci ammazza, ma forse poi si dispiace davvero”, pensava lo spettatore). E allora magari sì, magari la marcia di una possibile lady di ferro può cominciare da una lacrima sul viso.
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