Gajarda questa

Stefano Di Michele

Dopo un’ora e quaranta di conferenza stampa, Rutelli abbozza un sorriso: “Gajarda, questa” – intesa quale domanda del giornalista. Quasi un’ora dopo, sbotta: “Questa risposta l’ho già data alle tre e venti, adesso sono le cinque e venti…”. Un quarto d’ora dopo: “Se c’è un’altra domanda la prendo, mi sono affezionato…”. Che il momento sia pesante non c’è dubbio, che la questione bruci è certo, che l’indignazione sia vera è indubitabile. 

    Dopo un’ora e quaranta di conferenza stampa, Rutelli abbozza un sorriso: “Gajarda, questa” – intesa quale domanda del giornalista. Quasi un’ora dopo, sbotta: “Questa risposta l’ho già data alle tre e venti, adesso sono le cinque e venti…”. Un quarto d’ora dopo: “Se c’è un’altra domanda la prendo, mi sono affezionato…”. Che il momento sia pesante non c’è dubbio, che la questione bruci è certo, che l’indignazione sia vera è indubitabile. E tra “maltolto” e “ladro”, ovvero “non mi faccio intimidire da”, e “cancro” (il supposto ladro, precisamente “in casa”),  e “cazzate”, precisamente “manica di cazzate” (quelle dell’Espresso) e “arrabbiatissimo” (Rutelli stesso) le ore passano, nella lunga giornata di controffensiva del leader dell’Api alle perse con l’affare Lusi – un tesoro di tesoriere, apparentemente, cominciato scout e finito con gli spaghetti al caviale da 180 euro a piatto, e villa ai Castelli e appartamento in centro. “Quello era un ladro, noi siamo persone perbene”. Una giornata cominciata con un esposto in procura, poi perseguita con l’infinita conferenza stampa c/o sala Nassirya del Senato – che pure le agenzie alla fine, stremate, se ne erano andate, tranne quelli dell’Espresso, “una sola testata, quattordici domande!”, che non c’era modo di schiodarli, “e che faccio, famo un comunicato stampa?”. Ribolle, Rutelli – e passano un po’ di minuti, e la domanda di prima ritorna, “ragazzi, accontentatevi della logica”, ne passano un po’ e rieccola di nuovo, “lei mi vuol convincere a dire che io sono tordo!”.

    E’ che si tratta di faccenda oggettivamente complicata, e quindi naturalmente surreale – partite di giro dentro lo stesso partito, e il primo capopartito che mette in piazza e pesta mediaticamente l’ex suo tesoriere – quel tesoro di tesoriere, che da lupetto scout, a dir di Rutelli, in lupo famelico si mutò. Girano i milioni, girano i partiti, girano le storie – la Margherita che veniva dall’Asinello, il Pd dove la Margherita va a fondersi, come cacio nel toast, l’Api rutelliana che dalla Margherita s’invola verso il fiorito prato centrista – e in mezzo c’è pure il centro studi (c’è largo spargimento di sapienza in giro) di rutelliana emanazione, il Cfs – Futuro sostenibile, speriamo bene, ma “cosa nobile”, quarti di antica aristocrazia ambientalista, si capisce. E nel parapiglia l’ammasso totale da 330 a 350 milioni –  “e oggi parliamo di ammanchi di circa 23 milioni”, una “fiducia carpita in modo diabolico” e dai una cosa a quello e dai una cosa a quell’altro, “non è mai esistito un posto dove potessero riunirsi le dodici correnti della Margherita” (né uno stadio né un ippodromo), ma il po’ (bel po’, rutellianamente riconosciuto) di gestione artigianale che s’intuisce, niente e poi niente – a Rutelli l’infervorarsi fa andare storti gli occhiali, cadere il bicchiere, occhiate scocciate: “Persona perbene, persona onesta!” – può avere a che vedere con l’accusa del giornale debenedettiano: in pratica, soldi della Margherita finiti a finanziare il suo nuovo partito, appunto l’Api nell’arnia terzopolista. E quei 284 mila euro al Cfs? “Sostenitori dell’attività politica di Rutelli, che non avevano a che fare con il Cfs e che sono stati devoluti all’Api, ma che non sono soldi della Margherita”. Che secondo l’Espresso sarebbero molti di più, 866 mila. Ma lui non ci sta, e scalcia e nega e denuncia. E anzi dice, al cronista accusatore, che quando i bilanci dell’Api vedrà, “mi dirà chapeau!”. Chi vivrà vedrà. A volte Rutelli nella sua lunga giornata ha sulla sua faccia a caratura simpaticamente sordiana, un che di stupore, un dirsi interiore tra marchese del Grillo e saggio popolano: e che, lo dovrei da sape’ io? Un po’ come quell’altro, che si voleva nei decenni scorsi alimentare con il rancio in cella. “Mi ricordate quelli che ai processi per violenza vogliono mettere sotto accusa le donne”. Ecco. E’ solo nemesi. Ma appena appena, poco poco.