Diplomazia sottobanco

Washington lavora a due scambi di prigionieri in Iran e Afghanistan

Daniele Raineri

Martedì agenti americani hanno accompagnato in aereo con discrezione un iraniano di 38 anni, Amir Hossein Ardebili, fino a uno scalo in Europa e lo hanno imbarcato da solo su un volo Klm per Teheran. Ardebili era stato catturato nel 2007 dagli agenti dell’Immigrazione americana nella repubblica ex sovietica della Georgia.

    Martedì agenti americani hanno accompagnato in aereo con discrezione un iraniano di 38 anni, Amir Hossein Ardebili, fino a uno scalo in Europa e lo hanno imbarcato da solo su un volo Klm per Teheran. Ardebili era stato catturato nel 2007 dagli agenti dell’Immigrazione americana nella repubblica ex sovietica della Georgia. Era caduto in una trappola: una finta trattativa illegale per l’acquisto di tecnologia militare occidentale inscenata per attirare agenti iraniani. Trasferito in America, ha scontato quattro anni e mezzo di detenzione – il dipartimento di Giustizia rivelò il suo caso soltanto 22 mesi dopo l’arresto, poco prima della sentenza di condanna “per il tentativo di acquistare”, come scrisse l’agenzia Reuters, “radar militari, giroscopi e computer di bordo per caccia F-4”. Due funzionari americani che preferiscono mantenere l’anonimato ammettono che “il trasferimento di Ardebili è stato fatto con speditezza inusuale”. Secondo alcuni osservatori sentiti da Laura Rozen, la giornalista che si occupa di Affari esteri per Yahoo!News, il rimpatrio del trafficante è una mossa per facilitare il rilascio di un ex marine con doppio passaporto, americano e iraniano, Amir Hekmati, che in questo momento è in prigione in Iran con l’accusa di spionaggio. Teheran ha appena annunciato che la condanna a morte è stata sospesa ed è stato ordinato un nuovo processo. Il governo impedisce qualsiasi contatto tra il prigioniero e i funzionari del dipartimento di stato e non riconosce la sua cittadinanza americana, “è un iraniano e non c’è nessun bisogno di incontri”. Se non fosse intervenuta la sospensione, il tempo per l’esecuzione sarebbe già scaduto e lui sarebbe stato già impiccato.

    Hekmati è uno dei due scambi di prigionieri con il nemico che tengono occupata l’Amministrazione Obama. L’altro è quello che riguarda cinque leader talebani chiusi nel carcere speciale di Guantanamo Bay, a Cuba. E’ circolata la notizia che i cinque fossero sul punto di essere rilasciati e spediti in Qatar, come gesto di buona volontà da parte dell’Amministrazione americana per facilitare i colloqui di pace in corso con i talebani. Gli uomini del Mullah Omar hanno aperto un ufficio politico a Doha, capitale del regno del Golfo, che si è offerto come luogo neutro per i negoziati e da tempo si è dichiarato pronto a ricevere i liberati (non è ancora chiaro che fine faranno dopo: il Qatar garantisce che i cinque saranno tenuti ancora “sotto un certo grado di supervisione e sorveglianza”). Josh Rogin, che scrive per Foreign Policy, ha però uno scoop. La speaker della commissione Servizi segreti del Senato, la senatrice democratica Dianne Feinstein, rivela che si tratta di uno scambio di prigionieri, i talebani in cambio di un occidentale, la cui identità è stata svelata a Rogin ma che lui preferisce non rendere nota per non complicare il rilascio. Nel 2007, quando cinque capi talebani furono liberati in Afghanistan in cambio del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo, i governi di Stati Uniti, Gran Bretagna. Germania e Olanda espressero il loro disappunto in forme diverse, ma forti dello stesso concetto base: “Non trattiamo con i talebani”. Oggi Feinstein è della stessa idea: “E’ presentata come una misura per conquistare la fiducia della controparte, ma è uno scambio di prigionieri. Stiamo lasciando andare individui che hanno ucciso parecchia gente e che hanno guidato le grandi operazioni dei talebani. Sono pezzi grossi, non pesci piccoli. E non saranno più sottoposti allo stesso tipo di misure di massima sicurezza. Scordatevi che sarà come a Guantanamo. Per come la vedo io, non ci sarà modo di sapere cosa faranno”. Nell’aprile 2007 fu Feinstein, che oggi si rammarica che i cinque possano essere trasferiti in un posto che “non è come Guantanamo”, a introdurre al Senato una legge per chiudere Guantanamo “che danneggia la credibilità dell’America e ci espone a rischi maggiori”.

    Ieri i talebani hanno annunciato “la sospensione del dialogo” con gli americani, sostenendo che l’ufficio in Qatar in realtà non è stato aperto per occuparsi di negoziati che non ci sono ancora, ma dello scambio di prigionieri. Il giorno dopo l’arrivo in Afghanistan del segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, il presidente Hamid Karzai ha chiesto (ma non ne ha l’autorità) il ritiro delle truppe dai villaggi e che rimangano confinate nelle grandi basi. “Dopo la strage di domenica, le relazioni con gli Stati Uniti sono danneggiate”, ha spiegato. L’abbandono degli avamposti sparpagliati per il paese sarebbe la fine anticipata dell’attuale strategia di counterinsurgency che punta sul contatto con gli afghani.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)