Calci paralleli
I "vaffa" di Moratti e il sorriso di Berlusconi
Chissà se Massimo Moratti domenica sera avrà visto Udinese-Napoli. Se si sarà domandato perché Cavani è stato capace di segnare una doppietta di rabbia dopo aver fallito banalmente un rigore mentre Milito si è intristito ancor più, una volta sprecato il suo contro l'Atalanta. Se si sarà interrogato su come sia possibile sbagliare così banalmente uruguaiano.
Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Massimo Moratti e Silvio Berlusconi.
Chissà se Massimo Moratti domenica sera avrà visto Udinese-Napoli. Se si sarà domandato perché Cavani è stato capace di segnare una doppietta di rabbia dopo aver fallito banalmente un rigore mentre Milito si è intristito ancor più, una volta sprecato il suo contro l'Atalanta. Se si sarà interrogato su come sia possibile sbagliare così banalmente uruguaiano, non credendo fino in fondo nell'attaccante poi preso da De Laurentiis, per ripiegare invece su Forlan, più lesto a rifiutare un ingresso in campo che a cercare un gol, con Ranieri altrettanto lesto nel giustificarlo. Parlano maggiormente le mezze frasi rispetto ai proclami, per il presidente dell'Inter. E parlano più i gesti plateali che le decisioni concrete, come la poltrona lasciata visibilmente vuota all'intervallo nel pomeriggio di San Siro: avrebbe voluto portarsi via pallone (e squadra), ha portato via soltanto se stesso, con la sua rabbia interiore e i suoi dubbi. Pensando che, forse, sarebbe stato meglio abbandonare da vincente dopo il Triplete e dopo aver emulato papà Angelo. Invece Moratti junior ha salutato impotente Mourinho e ha assistito al progressivo disfacimento nerazzurro, tornando volubile nel decidere in una società priva di un porto sicuro come Facchetti e che oggi si lascia umiliare in pubblico dai dispetti verbali tra Branca e Oriali. E il risultato del campo è stato conseguente a tale vuoto di potere, come sempre capita nel calcio: allenatori presi senza convinzione per essere cacciati con sollievo, una squadra sul viale del tramonto, privata dello scudetto ormai abituale e capace di farsi eliminare in Champions League dai catenacciari mestieranti di Marsiglia.
Un declino acuito ancor più dai successi del Milan, per un ritorno ai ruggenti Anni 80 e 90 comprensivo anche del ridestarsi di Silvio Berlusconi. Lui, rispetto a Moratti, non aveva avuto bisogno di interessarsi fino in fondo dei propri affari, una volta distratto dalla Roma politica: l'azienda a Fedele Confalonieri, il giocattolo rossonero ad Adriano Galliani, confidenti di una vita oltre che irrinunciabili collaboratori. Avesse avuto uno anche così nel partito... In politica ha fatto oggi un passo indietro che l'ha rimesso ancor più al centro dei giochi. Nel calcio ne ha fatto uno avanti che apparentemente l'ha riportato nella stanza del comando. Perché magari Berlusconi darà indicazioni per un Milan modello Barcellona, poi Galliani e Allegri fanno di testa loro: il primo si muove sul mercato spendendo poco e prendendo chi realmente serve; il secondo propone un gioco più concreto che spettacolare, ma sufficiente per primeggiare almeno in Italia. Quanto basta al gran capo rossonero per essere felice e tornare a sentirsi benvoluto, almeno nel mondo del pallone. Non a caso a Parma si è fatto rivedere in tribuna, un evento che in trasferta non accadeva dal 1994. Con il sorriso di chi sente nuovamente vincente, con la superiorità di chi si concede un "cribbio" rispetto a una "vaffa" morattiano e con il fiuto di chi intuisce il corso delle cose, sapendo da dove ripartire per riconquistare gli italiani. "Sto studiando da presidente", ha sorriso felice come un bimbo. Sì, ma del Milan oppure della Repubblica?
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