Cgil sulle montagne russe

Nunzia Penelope

A chi le chiede come si sente in questi giorni di trattative sul mercato del lavoro, Susanna Camusso risponde: “Come sulle montagne russe’’. Tra discese ardite e risalite – un giorno si è vicini alla chiusura e qualche ora dopo si profila invece la rottura – la verità è che al momento non c’è nulla di certamente definito: di sicuro né la proposta dei tre maggiori sindacati, e nemmeno la posizione della stessa Cgil.

Leggi Tabù&veti, come per la scala mobile di Marco Valerio Lo Prete

    A chi le chiede come si sente in questi giorni di trattative sul mercato del lavoro, Susanna Camusso risponde: “Come sulle montagne russe’’. Tra discese ardite e risalite – un giorno si è vicini alla chiusura e qualche ora dopo si profila invece la rottura – la verità è che al momento non c’è nulla di certamente definito: di sicuro né la proposta dei tre maggiori sindacati, e nemmeno la posizione della stessa Cgil. L’unica cosa certa, oltre allo sciopero di due ore proclamato per oggi all’unanimità dalla Fiom di Maurizio Landini, è che la segretaria generale della Cgil non ha alcuna intenzione di lasciare il tavolo prima di aver visto fino all’ultima carta. Ma certo è un gioco ad alto rischio. Passare alla storia come il leader che ha mollato l’articolo 18 non è piacevole in casa Cgil, ma le alternative sono anche peggiori. In caso di mancato accordo tra le parti sociali, infatti, il governo ha già fatto sapere che prescinderà dai sindacati, con una vigorosa riforma che passerebbe per l’abolizione dell’art 18. Ed è abbastanza scontato che di questa “ecatombe sociale’’ (definizione di Raffaele Bonanni, qualche giorno fa) verrebbe accusata la Cgil. Per questo, anche dopo il risultato negativo del vertice di lunedì mattina, Bonanni, Angeletti e Camusso hanno proseguito i contatti per tutto il giorno, e ieri sera quando il Foglio era già in stampa era previsto un vertice con il governo.

    “Penso che sarebbe grave la mancanza di un accordo cui le parti sociali diano solidalmente il loro contributo”, ha detto ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando con i giornalisti al termine di una cerimonia alla Camera in ricordo di Marco Biagi. “Mi aspetto che anche le parti sociali mostrino di intendere che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualsiasi interesse e calcolo particolare”.

    Non c’è soltanto la moral suasion del Quirinale; un mancato accordo tra sindacati e governo porterebbe con sé anche una responsabilità politica, mettendo in grave difficoltà il Pd al momento del passaggio parlamentare sulla riforma. E’ quello che Pier Luigi Bersani cerca di scongiurare, attraverso contatti continui con Camusso. Ma, spiegano a Corso Italia, le decisioni che la confederazione prenderà saranno stabilite dal merito, non dall’opportunità politica.

    E veniamo al merito, allora. La Cgil sarebbe disposta a dire sì a una revisione dell’articolo 18 esclusivamente per quanto riguarda i licenziamenti per motivi economici, rinviando al giudice la discrezionalità di scegliere tra reintegro e indennizzo. Ma questo via libera richiede una contropartita concreta: un nuovo sistema di ammortizzatori sociali più inclusivo e allargato, e un intervento più restrittivo sulla flessibilità in entrata.

    Qui entrano in gioco altri protagonisti. Rete Imprese Italia ha già fatto sapere che non firmerà mai un accordo che, aumentando la contribuzione, costerebbe ad artigiani e commercianti 2,5 punti di costo del lavoro in più. Il rischio, dunque, è che la Cgil si spinga verso un accordo per poi ritrovarsi con nulla in mano, teme Camusso. Tanto più che, in casa Cgil, prende corpo la sensazione che la riforma voluta dal governo sia soprattutto un fatto di immagine, con l’articolo 18 che passa dal ruolo di totem a quello di scalpo da offrire ai mercati in cambio di una tregua. Diversamente – è la convinzione dei vertici della confederazione – sarebbe davvero difficile comprendere per quale motivo venga attribuito alla disciplina sui licenziamenti il potere taumaturgico di far crollare di 200 punti lo spread, trasformandosi in magico magnete in grado di attrarre investimenti esteri in quantità.
    Fra le altre tribolazioni, c’è pure quella di tenere a bada il fronte interno, dove la Fiom di Maurizio Landini ha dichiarato che sui licenziamenti non c’è mediazione possibile: “L’unica disponibilità che diamo è per ridurre anche drasticamente i tempi dei processi, ma sulla modifica del reintegro non è accettabile alcuna discussione’’. Con questa posizione si presenterà al direttivo Cgil di domani, che dovrà dare a Camusso il mandato per proseguire o meno la trattativa. Accanto a Landini sono schierati anche Tiziano Rinaldini, Nicola Nicolosi e Domenico Pantaleo, segretario del sindacato scuola e università. La situazione complessiva ricorda quella già vissuta nel 1992. L’Italia in ginocchio, la lira fuori dallo Sme, il governo di Giuliano Amato che cerca l’accordo con le parti sociali per abolire la scala mobile e bloccare i rinnovi contrattuali, dando un po’ di respiro all’economia.

    La Cgil all’epoca guidata da Bruno Trentin era restia a dare il proprio assenso, ma il segretario generale, messo di fronte a un brutale aut aut del premier (o si firma l’accordo con tutti, o domani mi dimetto e allora ciao Italia), decise di firmare, offrendo subito dopo le proprie dimissioni. E’ la strada che seguirà Camusso?