La riforma Monti-Fornero certifica il definitivo harakiri di Marcegaglia
La decisione di Mario Monti di procedere unilateralmente nella riforma del diritto del lavoro, senza bisogno del consenso delle parti sociali, rompe un tabù che si era consolidato non solo nella Cgil, con Cisl e Uil nel ruolo ariostesco di “cavalieri riluttanti”, ma anche nella Confindustria. Per di più il governo pare non abbia intenzione di fare un decreto legge come per le precedenti misure, che ponevano il Parlamento in un ruolo di “prendere o lasciare”, salvo emendamenti minori, da discutere e approvare nella corsa contro il tempo, prima che il decreto decadesse.
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La decisione di Mario Monti di procedere unilateralmente nella riforma del diritto del lavoro, senza bisogno del consenso delle parti sociali, rompe un tabù che si era consolidato non solo nella Cgil, con Cisl e Uil nel ruolo ariostesco di “cavalieri riluttanti”, ma anche nella Confindustria. Per di più il governo pare non abbia intenzione di fare un decreto legge come per le precedenti misure, che ponevano il Parlamento in un ruolo di “prendere o lasciare”, salvo emendamenti minori, da discutere e approvare nella corsa contro il tempo, prima che il decreto decadesse. Questa volta – secondo le informazioni in mio possesso – benché l’urgenza e la necessità del decreto ci siano, trattandosi di dare seguito a una richiesta di riforma avanzata l’estate scorsa dalla Commissione europea, il governo farà un disegno di legge, probabilmente un disegno di legge delega. E il Parlamento riacquisterà la sua centralità, in materia di diritto del lavoro. Io vorrei che il legislatore considerasse i contratti di lavoro non come materia di diritto pubblico, ma di diritto privato, da lasciare alla volontà delle parti contraenti, imprese e lavoratori autonomi da un lato e lavoratori tramite i loro rappresentanti sindacali o direttamente, salvo le tutele dei diritti inderogabili della persona umana. Ciò secondo la concezione dell’economia sociale di mercato e quella sostenuta dal Luigi Einaudi, nel libro sulle “lotte del lavoro”, in cui è questa la figura del sindacalista che viene elogiato. Non ho però sentito che dalla Confindustria si levasse una simile richiesta. Anche in questa fase essa non si è schierata per la libertà di contratto a livello di impresa. Ma la forza delle cose lavora in questa direzione. Appaiono ora, di colpo, “lontani” i tempi in cui Emma Marcegaglia capeggiando una Confindustria-partito aveva riunito al sua tavolo le parti sociali per “sterilizzare” (queste furono le testuali parole) l’articolo 8 della manovra di agosto, ideato dal ministro Maurizio Sacconi che stabiliva la prevalenza della contrattazione aziendale, gradita a Marchionne, su quella nazionale. E consentiva, in tale quadro, modifiche interpretative dell’articolo 18. Ora il governo Monti, con l’appoggio ben visibile del capo dello stato e della maggioranza delle forze politiche che lo sostengono, ha iniziato la sterilizzazione dell’articolo 18, nella corrente interpretazione giudiziaria.
La Confindustria, la scorsa estate, fece invece insieme con la Cgil una guerra politica a Berlusconi e una guerra civile a Marchionne, colpevole di avere inaugurato una stagione di contratti aziendali, che ledevano il suo potere corporativo nazionale e quindi quello di pressione sul governo per ottenere rendite. Pareva che Emma Marcegaglia avesse vinto la guerra politica. Ma è stata una vittoria di Pirro. Il governo tecnico non può sostenere la concertazione perché perderebbe il connotato d’essere super partes. E il nuovo presidente di Confindustria, ora che s’è imboccata la strada della flessibilità non potrà ignorare l’articolo 8. Glielo chiederà la base.
Il fatto, ad esempio, che i licenziamenti per ragioni disciplinari, a quanto pare, saranno demandati alla magistratura, riproporrà l’utilità della contrattazione aziendale su questo tema. Ciò per chiarire, azienda per azienda, quali sono i casi gravi in cui si dà all’imprenditore la facoltà di licenziare e anche per devolvere ad arbitrati queste controversie. Urge una rivoluzione copernicana su Viale dell’Astronomia. Anche per chi, come il candidato Giorgio Squinzi, aveva minimizzato l’importanza della riforma dell’articolo 18 e sembrava freddo sull’articolo 8 della manovra.
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