Squinzi scelto dalla giunta

Confindustria, vince un uomo di mediazione e coesione (ai punti)

Stefano Cingolani

Giorgio Squinzi, 69 anni, patron di Mapei, multinazionale tascabile nella chimica per l’edilizia, ha ottenuto la maggioranza dei voti nella giunta di Confindustria che si è svolta ieri. A meno di un clamoroso ribaltone all’assemblea del 23 maggio, sarà il prossimo presidente della Confindustria, prendendo in mano il testimone da Emma Marcegaglia che lo ha sponsorizzato e sostenuto.

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    Giorgio Squinzi, 69 anni, patron di Mapei, multinazionale tascabile nella chimica per l’edilizia, ha ottenuto la maggioranza dei voti nella giunta di Confindustria che si è svolta ieri. A meno di un clamoroso ribaltone all’assemblea del 23 maggio, sarà il prossimo presidente della Confindustria, prendendo in mano il testimone da Emma Marcegaglia che lo ha sponsorizzato e sostenuto. La vittoria, che un mese fa sembrava scontata, è arrivata sul filo di lana: 93 voti contro 82. Tra la sorpresa di molti e la delusione di chi ha costruito la sua candidatura.

    Nel suo entourage, infatti, si parla con sense of humour di un “successino”, mentre sono perdenti, ma soddisfatti, i sostenitori di Alberto Bombassei. Il patron della Brembo sembrava ormai fuori gioco, tanto che si erano diffuse persino voci, malevole, di un suo ritiro. Invece si è lanciato in una rincorsa sfrenata (se così si può dire per un industriale che fabbrica freni). Bombassei ha mancato l’obiettivo per poco, e sul piatto della bilancia ha pesato in modo decisivo l’Eni che porta con sé ben sei voti nella giunta della confederazione di Viale dell’Astronomia. L’amministratore delegato Paolo Scaroni era a Londra e non è riuscito ad arrivare in tempo, ma ha sottolineato che “l’Eni ha fatto la differenza. Abbiamo votato per Squinzi, così è stato evitato il pareggio”.

    Mesi fa sembrava che volesse appoggiare Bombassei, anche perché insieme lo scorso anno si erano spesi nel lanciare la candidatura di Gianfelice Rocca (Techint). Ma cammin facendo è prevalsa la scelta di fare dell’Eni in qualche modo l’azionista di riferimento, prendendo il posto che un tempo era della Fiat. Del resto il capo azienda del Lingotto, Sergio Marchionne, ha lasciato Confindustria e non ha potuto votare. Secondo alcune indiscrezioni, Carlo De Benedetti, anche lui pro Bombassei, alla fine si sarebbe astenuto.

    Squinzi paragona la sua vittoria a quella di Oscar Freire, il ciclista spagnolo della squadra che Mapei sponsorizza. E’ consapevole di non avere un margine sufficiente per gestire Confindustria, a meno di non spalancare la porta alla coalizione che lo ha avversato e che, paradossalmente, rappresenta buona parte dell’industria del centro-nord: Piemonte, Veneto, Friuli, Emilia, Marche, una parte della Lombardia. L’Assolombarda presieduta dall’uomo Eni, Alberto Meomartini, la più grande delle associazioni territoriali, si è divisa anche se è prevalso Squinzi sostenuto da esponenti come Diana Bracco o Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset.

    Per farlo vincere sono stati determinanti i sostegni di tutte le industrie parapubbliche (oltre all’Eni anche Enel, Poste, Ferrovie e Terna) tranne Finmeccanica, il Lazio capitanato da Aurelio Regina e il sud. Poiché le associazioni settentrionali hanno un peso specifico maggiore, all’assemblea, dove si vota per censo, potrebbero ottenere la maggioranza. Una sconfessione della giunta è del tutto improbabile, ma il presidente designato – si dice in ambienti di Viale dell’Astronomia – dovrà lanciare segnali chiari che la sua squadra e la sua linea tengono conto in modo sostanziale dell’Italia produttiva e non di quella assistenziale.
    Squinzi è un imprenditore tradizionale, abituato a decidere tutto da solo, lui e la sua famiglia. Ha costruito una realtà importante del “quarto capitalismo”, non ha rapporti con Roma, con la politica, con i rituali corporativi che, del resto, sembrano al tramonto con Monti.

    La posizione sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori lo ha differenziato nettamente da Bombassei: secondo Squinzi, non è una questione prioritaria per le imprese. Anche ieri alla fine della giunta è stato cauto: “Non sappiamo quale sarà la formulazione definitiva, quindi prima di dare giudizi aspetterei un momento”, ha detto. Ma se ci pensa il governo, avrà una trappola in meno davanti a sé. Di qui all’assemblea del 23 maggio, dovrà uscire dal riserbo con il quale ha costruito il suo successo e spiegare chiaramente quali sono, invece, le sue priorità. Ha già parlato di produttività, innovazione, sviluppo; però finora restano slogan. Ha promesso un rinnovamento della Confindustria, ma senza scosse, tanto meno la “rifondazione” annunciata da Bombassei. E tuttavia, il 19 aprile dovrà presentare una squadra ben equilibrata, con un’adeguata rappresentanza delle istanze e degli uomini dell’Italia dove si genera la maggior parte del reddito nazionale.
    Lui che deve il successo agli oligopoli parapubblici, condurrà una battaglia contro i monopoli e per vere liberalizzazioni? “Il mio obiettivo è essere il presidente di tutti”, ha detto ieri e poi ha aggiunto: “Darò una spinta importante nella direzione di trovare la crescita della quale questo paese ha bisogno”.

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