D'Amato loda Fornero ma sui licenziamenti è più montiano di Monti

Stefano Cingolani

L’articolo 18 cambia, dieci anni dopo l’assassinio di Marco Biagi (il 19 marzo 2002) e dopo la manifestazione al Circo Massimo guidata da Sergio Cofferati (il 23 marzo). Antonio D’Amato ne aveva fatto il vessillo della sua presidenza e oggi dovrebbe stappare champagne. Invece, è solo moderatamente soddisfatto. “Sia chiaro – commenta con il Foglio – è positivo che il paese e la Confindustria affrontino un nodo fondamentale e il governo Monti scelga senza farsi penalizzare da pratiche concertative e da veti anacronistici”.

    L’articolo 18 cambia, dieci anni dopo l’assassinio di Marco Biagi (il 19 marzo 2002) e dopo la manifestazione al Circo Massimo guidata da Sergio Cofferati (il 23 marzo). Antonio D’Amato ne aveva fatto il vessillo della sua presidenza e oggi dovrebbe stappare champagne. Invece, è solo moderatamente soddisfatto. “Sia chiaro – commenta con il Foglio – è positivo che il paese e la Confindustria affrontino un nodo fondamentale e il governo Monti scelga senza farsi penalizzare da pratiche concertative e da veti anacronistici. Una riforma vera è essenziale per aumentare la competitività delle imprese e per una maggiore equità del mercato del lavoro”. Una riforma vera? Dunque, questa non lo è. “Non ancora, perché il reintegro va limitato solo per i licenziamenti discriminatori”. D’Amato rilancia, mentre c’è chi agita lo spettro di espulsioni di massa e pratiche antisindacali (anzi anti Fiom secondo quel che scrive Guido Viale sul manifesto) mascherate con ragioni economiche. L’ex presidente di Confindustria, al contrario, paventa il rischio che si mascherino per discriminatori i licenziamenti disciplinari, allo scopo di ottenere il reintegro. E insiste sull’equità. “La riforma vuole stabilizzare i giovani e dare loro maggiori opportunità in entrata. Tuttavia, dobbiamo risolvere un altro problema: come offrire un lavoro anche agli anziani. E’ evidente che nessuno assumerebbe un cinquantenne con l’obbligo di tenerlo fino alla pensione cioè per altri 17 anni, senza sapere se sarà in grado di inserirsi nei nuovi livelli di competitività oggi richiesti”. Chi si oppone contesta questi effetti benefici, ma per D’Amato è del tutto evidente che il minor accesso dei giovani e delle donne, così come il nanismo spinto delle imprese italiane, dipendono dalle rigidità imposte dall’articolo 18. La stragrande maggioranza delle imprese italiane ha meno di 15 dipendenti, la soglia sotto la quale non si applica la norma. In altri paesi europei non è così, basta guardare alla Germania.

    Già, il mitico modello tedesco. D’Amato ha uno stabilimento in Germania e insiste che là non esiste nessun problema di flessibilità in uscita. Bonanni sostiene che gli imprenditori tedeschi hanno l’obbligo di discutere preventivamente con i sindacati. Ma lì c’è una cultura della cogestione, in Italia una cultura del veto. “In Germania i sindacati stessi gestiscono insieme all’azienda ogni fattispecie, dalla crisi alla disciplina o agli stessi livelli di produttività”.  E i giudici hanno l’ultima parola come vorrebbe Bersani. “Sì, ma esiste una giurisprudenza ben diversa. Da noi, una magistratura militante ha imposto interpretazioni condizionate da emergenze sociali, prassi e comportamenti acquisiti, creando una vera e propria giungla”.

    L’ex presidente riconosce che si apre una fase nuova nelle relazioni industriali. Eppure, nella contesa per il dopo Marcegaglia, ha sostenuto Giorgio Squinzi il quale sostiene che l’articolo 18 non è una priorità. “Squinzi era il mio vice, lo conosco bene e lo apprezzo, so che è un grande innovatore come industriale e un uomo di polso, ama il dialogo, ma non i compromessi al ribasso e ha la forza di sostenere una posizione riformatrice”. In verità finora è apparso un continuista, mentre anche la Confindustria soffre una crisi d’identità. Lo dimostra la spaccatura che vede le regioni industriali schierate con Alberto Bombassei mentre le imprese pubbliche e il centro sud hanno votato Squinzi. “Il dibattito forte non è negativo, io semmai ho paura dei falsi unanimismi che coprono strategie opposte – replica D’Amato – Il nuovo presidente deve accogliere le istanze di Bombassei e le sue migliori risorse. Sono sicuro che lo farà. O si cambia o si muore”. Finora la Confindustria non è cambiata molto. “Ha subìto anch’essa la legge del pendolo, ma oggi l’oscillazione porta al cambiamento”.

    D’Amato insiste sulla novità della situazione e sulle opportunità che offre, ma nega di essere tentato dalla politica. Si era parlato di una sua discesa in campo per la presidenza della Campania, ma lui si schermisce: “Mi hanno offerto anche un ministero, ma ho sempre detto no, perché voglio fare l’imprenditore e credo che questo mestiere sia incompatibile con il mestiere del politico”.