Bersani non lo capisco, il tono sì, sembra sempre che non glielo fan fare
Mi han chiesto di scriver qualcosa di Pier Luigi Bersani, perché siamo tutti e due emiliani, anche se io son di Parma, e lui è del piacentino, più precisamente di Bettola, nell’Appennino, e io posso dire che Pierluigi Bersani è una persona che mi sembra simpatica, come modo di fare, anche se non lo conosco benissimo e, confesso, non lo capisco; cioè io, quando parla, Bersani, non capisco quello che dice, anche se siamo emiliani, non so perché, cioè è una cosa che mi succede anche con degli altri politici.
Mi han chiesto di scriver qualcosa di Pier Luigi Bersani, perché siamo tutti e due emiliani, anche se io son di Parma, e lui è del piacentino, più precisamente di Bettola, nell’Appennino, e io posso dire che Pierluigi Bersani è una persona che mi sembra simpatica, come modo di fare, anche se non lo conosco benissimo e, confesso, non lo capisco; cioè io, quando parla, Bersani, non capisco quello che dice, anche se siamo emiliani, non so perché, cioè è una cosa che mi succede anche con degli altri politici, anzi, di solito, i politici, più parlano e meno capisco, ma con Bersani è un po’ misteriosa perché ci sarebbe questa affinità linguistica, in teoria, tra corregionali che usiamo tutti e due una sintassi e un lessico e una consecutio e una cantilena e un’intonazione e un accento che non nascondiamo, di solito, la nostra provenienza, anzi, la manifestiamo quasi come se la rivendicassimo.
Non so come spiegarmi, è un po’ un mistero, forse è più chiaro se faccio un esempio, ho pensato, e sono andato in biblioteca e ho preso un libro, di Bersani, “Per una buona ragione”, intervista a cura di Miguel Gotor e Claudio Sardo, pubblicato nel marzo del 2011 dalla casa editrice Laterza e l’ho aperto a caso e ho trovato questa domanda: “Non le pare che la questione democratica così posta non sia più risolvibile in un solo paese, e forse neppure in un solo continente?”. E poi questa risposta: “Ne sono consapevole. Per questo credo che i partiti democratici e progressisti debbono trovare al più presto le modalità e gli strumenti per condurre insieme una battaglia per alzare il livello di sovranità della democrazia. Tra G2 e G20, Fondo monetario e Nazioni Unite, bisogna porre con più forza e più concretezza il tema del governo democratico del mondo”. Ecco: la prima cosa che mi è venuta in mente, a leggere questa risposta di Bersani, è stata una volta che Occhetto, pochi anni dopo avere perso le elezioni, quando l’avevan fatto presidente della commissione Affari esteri della Camera, nel 1998, pubblicò un libro che si intitolava “Governare il mondo” e fece un giro delle feste dell’Unità a presentarlo. Ecco, io non lo so, ma secondo me, questa aspirazione a far sì che i partiti democratici e progressisti trovino al più presto le modalità e gli strumenti per condurre insieme una battaglia per alzare il livello di sovranità della democrazia, questa pulsione, tra G2 e G20, Fondo monetario e Nazioni Unite, a porre con più forza e più concretezza il tema del governo democratico del mondo, a me procura un imbarazzo che io mi immagino simile a quello dei volontari delle feste dell’Unità che, nel 1998, dovevano prepararsi a presentare il libro “Governare il mondo”, di Achille Occhetto.
No, c’è una sola cosa che capisco, di Bersani, quando parla, il tono. Quel che vuol dire il tono di Bersani, per come lo capisco io, è che tanto lui lo sapeva, che andava a finire così. Che non gli han datto retta e allora poi per forza. Che lui se l’era immaginato fin da subito. Lui lo sapeva benissimo, e avrebbe saputo benissimo come farlo solo che non gliel’han mica lasciato fare e allora adesso cosa vogliono? Indipendentemente dalle cose che dice, a me mi sembra sempre che voglia dire sempre quella cosa lì.
Anche nelle facce che fa, quando risponde, a me Bersani mi sembra proprio uno che sapeva tutto: Bersani è uno che, quando l’ho visto, lo sono andato anche a cercare su YouTube, è uno che lui, quando gli fanno una domanda, non deve mai pensarci, sa sempre tutte le riposte, e le risposte io non le capisco mai, quel che vuol dire, ma il tono è sempre quello lì che lo sapeva, lui, che andava a finir così, per forza, eh, oramai, cosa vuoi fare. Io credo di non aver mai visto la faccia di Bersani pensierosa, Bersani a me mi sembra uno che non ha bisogno, di pensare, a me a veder Bersani mi viene in mente l’espressione “a menadito” che usava mia mamma per dirmi che le tabelline le dovevo sapere a menadito; ecco Bersani è uno che le cose le sa così, senza bisogno di pensarci, a menadito, solo che contemporaneamente, mi sbaglierò, ma a me mi sembra uno che le cose che sa a menadito, non gliele faranno mai mettere in pratica, che lui ce li avrebbe, anche, i titoli per farlo, solo che non vogliono, e allora così dopo, ecco, guarda, per forza, che cosa ti aspettavi?
E poi, l’ultima cosa che mi viene in mente, a pensare a Bersani, che forse non c’entra però niente, mi viene in mente un altro signore di Piacenza che una volta, lo ero andato a trovare, lui si lamentava di D’Alema, che aveva appena dato le dimissioni da presidente del Consiglio di un governo in cui Bersani era ministro dei Trasporti e della navigazione, e si era così arrabbiato, con D’Alema, quel signore lì, che non lo chiamava neanche per nome, diceva: “Ma coso lì, barbisino, Richelieu, dicon tutti che è così intelligente, è così intelligente, è così intelligente; la prende sempre nel culo, era meglio uno più stupido”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano