Boeri e la storia di uno svenimento perfetto di fronte al metodo Abramovic
Più letale della sindrome di Stendhal fu l’imperativo: “Tutti da Marina il sabato sera”. La mondanità trascolora nell’eroismo, con lo svenimento dell’architetto Stefano Boeri, ex candidato sindaco di Milano e oggi assessore alla Cultura nella giunta Pisapia, crollato (senza conseguenze, ha assicurato su Facebook la mattina dopo) mentre partecipava con altri venti assessori e consiglieri alla performance “The Abramovic Method” al Padiglione d’arte contemporanea di Milano.
Più letale della sindrome di Stendhal fu l’imperativo: “Tutti da Marina il sabato sera”. La mondanità trascolora nell’eroismo, con lo svenimento dell’architetto Stefano Boeri, ex candidato sindaco di Milano e oggi assessore alla Cultura nella giunta Pisapia, crollato (senza conseguenze, ha assicurato su Facebook la mattina dopo) mentre partecipava con altri venti assessori e consiglieri alla performance “The Abramovic Method” al Padiglione d’arte contemporanea di Milano. Presente e officiante, Marina Abramovic in persona, arrivata a Milano da New York con il suo ultimo lavoro proprio su invito di Boeri. L’occasione era di quelle che ci si vergognerebbe a confessare di aver perduto, nella Milano non più da bere ma sempre pronta a berla, quando a chiamare è la Cultura con la C maiuscola, sotto specie della performer più famosa e atletica del mondo. Capace di gridare ininterrottamente per mezza giornata, parlare in otto lingue con la testa rovesciata, tagliuzzarsi, darsi più o meno fuoco, starsene appesa o ferma immobile per ore e ore, magari con cinque o sei pitoni (tenuti in precedenza a digiuno per settimane) che le si attorcigliano addosso. Certo, il tempo passa e la pur sempre vigorosa Abramovic deve aver pensato che è meglio cominciare a risparmiare le forze. La sua ultima pensata prevede quindi, saggiamente, che a soffrire siano gli altri. Ventuno partecipanti alla volta (sabato scorso, al Pac, toccava ai politici, invitati da Boeri) possono accedere attraverso il “metodo Abramovic” a centottanta minuti di “fuga interiore”. Finalmente emancipati da qualsiasi orpello, soprattutto tecnologico (via cellulari, iPad, computer, orologi, monili), dopo aver indossato un camice bianco e un paio di cuffie insonorizzanti per garantirsi il silenzio totale, i prescelti sono guidati tra lettini, sedie e misteriosi oggetti “in materiali completamente naturali” (per il sollievo della verde Milly Moratti). Dovranno assumere via via le tre “posizioni umane fondamentali”, da mantenere immobili e a occhi chiusi: seduti, in piedi, sdraiati.
La Abramovic, bisogna ammetterlo, è un genio assoluto: non è da tutti riuscire a vendere come arte qualcosa che viaggia a metà tra la punizione d’altri tempi (in piedi dietro la lavagna, con le cuffie al posto delle orecchie d’asino), una seduta di meditazione e una sessione di lampada Uva. Sta di fatto che l’assessore Boeri, uomo colto e sensibile ma evidentemente poco allenato, la sua fuga interiore l’ha coronata su un’ambulanza del 118 a sirene spiegate, mentre l’amica Abramovic si rammaricava: “Forse era troppo tardi per una performance così complessa” (era tardi anche per il consigliere comunale del Pd Ruggero Gabbai, che ha raccontato – sempre su Facebook, perché della tecnologia ci si libera solo per rituffarcisi con più goduria, appena la Abramovic si distrae – di aver sofferto a sua volta di “una piccola colica” dopo aver sperimentato “The Abramovic Method”). Durante la conferenza stampa l’artista serba aveva modestamente presentato il suo “metodo” come “una rivoluzione nell’arte della performance”. Boeri aveva rincarato la dose: “Quella di Marina Abramovic non è una mostra, non è una performance, non è una rappresentazione, non è un incontro ma è qualcosa di molto più forte… raccontandoci di un metodo di rapporto tra l’arte e lo spazio, ci indica anche una strada per i prossimi anni”.
Tutto chiaro. La non performance, non mostra, non incontro e non rappresentazione di Marina Abramovic va vissuta con lo stesso spirito con cui in altri tempi si andò in montagna e ai nostri tempi si va al Palasharp con Zagrebelsky e Lella Costa. Ma la carne è debole e per questo, ha spiegato l’artista, “i partecipanti firmano un contratto con il quale danno la loro parola d’onore che non abbandoneranno la performance a metà strada”. Non sappiamo se sono previste sanzioni per chi, come il povero Boeri, sviene prima della meta.
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