Il Pdl studia la riforma del lavoro e si scopre poco fornerian-montiano

Michele Arnese

Ma qual è la posizione del Pdl sulla riforma Monti-Fornero del lavoro? Quel che è certo, è che il principale partito di maggioranza preferiva un decreto legge allo strumento più dilatorio del disegno di legge. Ma al di là della forma, la sostanza della riforma è condivisa o no dal partito berlusconiano? Una risposta chiara non c’è. O meglio ci sono più risposte.

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    Ma qual è la posizione del Pdl sulla riforma Monti-Fornero del lavoro? Quel che è certo, è che il principale partito di maggioranza preferiva un decreto legge allo strumento più dilatorio del disegno di legge. Ma al di là della forma, la sostanza della riforma è condivisa o no dal partito berlusconiano? Una risposta chiara non c’è. O meglio ci sono più risposte.

    C’è quella favorevole del presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni: “E’ un buon provvedimento che non merita l’opposizione che le stanno facendo Cgil e Pd”. Certo, “poteva essere più coraggiosa e poteva essere presentato un decreto legge come per le pensioni e le liberalizzazioni – ha detto Formigoni – ma il segno riformista di questo provvedimento va conservato per intero”.

    C’è quella netta di Maurizio Gasparri, presidente del gruppo pdl al Senato: “La riforma del mercato del lavoro è un elemento essenziale per l’attuazione degli impegni che l’Italia ha assunto in sede europea. Si tratta di regole fondamentali per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione, purché la norma venga adottata in tempi rapidi e sia chiara nei contenuti. Ad esempio, va migliorata nella flessibilità in entrata”. Stessa linea del capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto: “Se cade la modifica dell’articolo 18, bisogna rivedere anche la prima parte”.

    In Parlamento le idee sembrano chiare. E i vertici del partito? Il segretario Angelino Alfano, in una pagina di intervista al Messaggero, ha detto: “Noi faremo tanta sponda alle preoccupazioni delle piccole e medie imprese che da un lato vedono estese le rigidità dell’articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti; e dall’altro fortemente disincentivato e burocraticamente appesantito l’accesso a forme contrattuali che con la legge Biagi avevano rappresentato un meccanismo capace di creare tanta occupazione”.

    Quindi il Pdl non è neppure favorevole all’indennizzo nei casi di licenziamenti individuali per motivi economici? “Non si può bluffare sulla flessibilità in uscita e penalizzare le forme di flessibilità in entrata che hanno dato prova di funzionare”. Insomma, la riforma dell’articolo 18 che ha indotto la Cgil a indire uno sciopero generale per Alfano è quasi un bluff. Così lo slogan coniato ieri sera da Alfano, proprio durante la conferenza Pdl per il lavoro a Milano, è stato: “O buona riforma o nessuna riforma”.
    Chi avesse ancora dubbi sulla posizione del partito berlusconiano, o forse non più berlusconiano, può comprendere meglio tesi e umori del Pdl leggendo il 48esimo report che l’economista ed ex ministro Renato Brunetta ha dedicato proprio alla riforma Monti-Fornero. Andando dritti alle conclusioni, si legge senza tanti giri di parole che “perdono tutti: Pd, Pdl e Terzo polo. Perdono le imprese, perde l’Italia. Vincono gli estremisti sociali e politici. Ne vale la pena?”.

    In verità Brunetta, politicamente, gongola: “Il conto è presto fatto – scrive – Bersani è in un angolo, la Cgil è isolata, il Pd è in forte imbarazzo tra il richiamo della foresta massimalista e l’anima (minoritaria) riformista”. L’ex ministro è meno gaudente se studia più asetticamente il disegno di legge: “La riforma comporterà per il sistema delle imprese un aumento di rigidità in entrata (limitazioni varie su contratti atipici e parasubordinati), e relativi maggiori costi; ma anche quasi nessun vantaggio per le imprese sopra i 15 dipendenti per la flessibilità in uscita, anzi! Il rischio, infatti, è che con la riforma prospettata dell’art. 18 ad aumentare sia solo il contenzioso in tema di licenziamenti per ragioni disciplinari”.
    Conclusione di Brunetta: “Più rigidità in entrata, più rigidità in uscita (soprattutto per le piccole imprese), cui andranno aggiunti più costi, soprattutto per queste ultime, in tema di finanziamento del nuovo sistema di ammortizzatori sociali”. Ovvero, come ha detto ieri a Radio 24, “la riforma per ora è quasi aria fritta”.

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