Il gran sensale Casini assicura il suo futuro nella foto inopportunity

Salvatore Merlo

E’ stato un attimo, quasi una folgorazione, un’intesa istintiva ma assoluta con il gran sensale Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc stava per ritrarre Bersani e Alfano, l’uno accanto all’altro, un po’ stanchi ma sorridenti, quando Monti, in un lampo, capisce e perfeziona l’idea. Il professore spreme l’occasione, ingrana un’andatura svelta e finalizzata: “Aspetta, la facciamo insieme”. Click. Meglio di qualsiasi comunicato. Alla fine il tecnico e l’uomo di partito si sono stretti la mano, una muta marea di gratitudine nello sguardo.

    E’ stato un attimo, quasi una folgorazione, un’intesa istintiva ma assoluta con il gran sensale Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc stava per ritrarre Bersani e Alfano, l’uno accanto all’altro, un po’ stanchi ma sorridenti, quando Monti, in un lampo, capisce e perfeziona l’idea. Il professore spreme l’occasione, ingrana un’andatura svelta e finalizzata: “Aspetta, la facciamo insieme”. Click. Meglio di qualsiasi comunicato. Alla fine il tecnico e l’uomo di partito si sono stretti la mano, una muta marea di gratitudine nello sguardo.

    La politica italiana sa bene che le foto hanno un valore episodico, ingialliscono, e facilmente si strappano, come è accaduto a Vasto, ai sorrisi (per ora) congelati di Nichi Vendola e Antonio Di Pietro che circondano Pier Luigi Bersani su un palco tra le bandiere. Ed è forse per questo che ieri Casini li ha voluti inchiodare a quella foto, Alfano e Bersani: “Sarebbe gravissimo se qualcuno cambiasse idea”. Ma la fatica con la quale, dopo la cena di Palazzo Chigi, i due segretari si sono impegnati (senza troppo successo) ad allungare le distanze e marcare le differenze tra loro è sembrata agli stessi attori sulla scena un trionfo della doppia e implicita regia Monti-Casini. Se il professore è l’officiante, il capo dell’Udc è il testimone (artefice) del matrimonio obbligato tra gli sposi riluttanti, quei segretari di Pd e Pdl che giovedì sera forse hanno capito, forse non fino in fondo, quello che era stato apparecchiato per loro.

    Casini è stato un mediatore culturale, quasi un elemento terzo, un interprete tra Bersani, Alfano e Monti. E come ogni buon interprete, che tesse una trama sua, ma una trama di pace, nel corso della cena ha saputo soprattutto omettere; permettendo così al professore di gestire una conversazione nella quale ciascuno ha parlato la propria lingua, per lo più incomprensibile agli altri, e se ne è poi tornato a casa convinto di avere ottenuto qualcosa e in definitiva di avere vinto lui. Tra Bersani, neghittoso e preoccupato dalla Cgil, e Alfano, cauto e sospettoso sulla giustizia e la Rai, soltanto Casini si è mosso con l’agilità di chi ha semplicemente da guadagnare. La sua è una rendita di prospettiva, il suo è un futuro operoso che si costruisce solidificando con pazienza la rete dei rapporti trasversali tra le forze politiche. “L’incontro è andato bene, si è trovato un punto d’intesa su argomenti seri come la giustizia, il lavoro e la politica estera”, ha detto. E poi ha aggiunto, caricando di ambizione lo sguardo: “La rinascita di questo paese è appena iniziata”. Una “rinascita” che ovviamente – pensa lui – non può che vederlo protagonista. Aspetta giugno, Casini. Aspetta il congresso con il quale vorrebbe sciogliere l’Udc, e intanto consolida, gioca tutto sul tavolo del governo tecnico, di una perpetuazione del sistema Monti che però lo veda sempre più centrale. Perché “nel 2013 sarebbe assurdo tornare a dividersi”. Lo nega, ma ha già deciso di abbracciare il Pdl. Ridimensiona, ma si è alleato con Alfano a Palermo. Ha ragione il suo amico Gianfranco Micciché quando si lascia andare e dice che “questo è solo l’inizio”. Di buon mattino, ieri, Casini è entrato nello studio di Fini, alla Camera. I due si allontanano. Casini solleva il sopracciglio quando avverte “rigurgiti” di antiberlusconismo fuori moda e fuori tempo. Fini deve scegliere, rischiando di scontentare i suoi colonnelli che gli indicano altri orizzonti. Parlerà domani a Pietra Santa, al raduno della sua Fli in cerca di identità.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.