Era mia madre ma non era mia madre
Era mia madre. Non era mia madre. Qual è la verità, e quanto è profonda la ferita, e cosa sarebbe diventata Jeanette Winterson, la più importante scrittrice inglese vivente, senza la madre adottiva e depressa, con due dentiere, una opaca per tutti i giorni e una perlata “per le feste”, che odiava la vita, il mondo, il desiderio, l’amore, che aspettava l’Apocalisse fumando mille sigarette e che chiudeva Jeanette nella carbonaia per punizione o la lasciava fuori casa di notte, che le bruciò tutti i libri trovati sotto il materasso, negli anni Settanta ad Accrington, nel nord dell’Inghilterra.
Era mia madre. Non era mia madre. Qual è la verità, e quanto è profonda la ferita, e cosa sarebbe diventata Jeanette Winterson, la più importante scrittrice inglese vivente, senza la madre adottiva e depressa, con due dentiere, una opaca per tutti i giorni e una perlata “per le feste”, che odiava la vita, il mondo, il desiderio, l’amore, che aspettava l’Apocalisse fumando mille sigarette e che chiudeva Jeanette nella carbonaia per punizione o la lasciava fuori casa di notte, che le bruciò tutti i libri trovati sotto il materasso, negli anni Settanta ad Accrington, nel nord dell’Inghilterra. Le fece fare anche un esorcismo di tre giorni, quando scoprì che Jeanette era lesbica, innamorata di una compagna di scuola. Un libro è una porta, e questo memoir “Perché essere felice quando puoi essere normale” (in Italia è uscito per Mondadori, e in copertina c’è la foto di Jeanette da piccola al mare, fiduciosa) apre un mondo interiore potentissimo, commovente, pieno di rabbia, ma rabbia luminosa, che diventa scrittura in grado di trasportare dappertutto il mondo di una bambina che ha dovuto inventarsi una casa e l’ha trovata nei libri.
Quando qualcuno chiedeva alla madre come stesse la figlia, la signora Winterson abbassava lo sguardo e rispondeva sospirando: “E’ colpa verso il cielo, peccato contro i morti e contro la natura”, senza sapere che erano i versi di Amleto, e in casa appendeva ovunque moniti: “Pensa a Dio, non all’io” (si piange, ma si ride anche molto). La signora Winterson lesse a Jeanette “Jane Eyre”, a voce alta, girando le pagine, e solo molti anni dopo Jeanette scoprì che aveva cambiato il finale, improvvisando lo stile di Charlotte Brontë: Jane Eyre volta le spalle al suo innamorato ormai cieco e sposa il reverendo, e i due partono insieme per le terre dei pagani. Anche questa disturbata anaffettiva pentecostale, nella sua mancanza di desiderio, aveva bisogno di desiderare un mondo che le assomigliasse.
Era mia madre, non era mia madre, è il punto di partenza e anche di arrivo, quando Jeanette Winterson, scrittrice di successo pluripremiata (la madre adottiva ordinò il suo primo libro, “Non ci sono solo le arance”, sotto falso nome per la vergogna, nel 1985, e la sgridò al telefono), riesce finalmente a ritrovare la sua vera madre, che la diede in adozione quando aveva sei settimane e le cambiò per sempre la vita. La trasformò in un naufragio. E in una possibilità, perfino in un trionfo politico e femminista: una ragazza della classe lavoratrice con l’accento sbagliato e le mani lucide dell’olio di una macchina scassata che riesce a farsi ammettere a Oxford, vota Margaret Thatcher perché vuole cambiare tutto da cima a fondo, e se la figlia di un droghiere poteva diventare primo ministro allora anche la figlia adottiva e cacciata di casa da una pentecostale senza un soldo poteva scrivere un libro che sarebbe finito negli scaffali della Narrativa inglese A-Z (Jeanette lesse i libri alla biblioteca del paese in ordine alfabetico per autore, spesso imparandoli a memoria, poiché non poteva portarli a casa). Questo libro bellissimo è la storia di una mancanza (“non avevo idea di cosa mancasse, ma sentivo la mancanza di quel che mancava”), ma è pieno di tutto, anche d’amore per una madre sbagliata che Jeanette Winterson non permette a nessun altro di criticare: “Era un mostro, ma era il mio mostro”.
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