Idee di rottura rispetto al pensiero unico dominante sul lavoro

Michele Arnese

C’è un sindacalista che non si piega al pensiero unico dominante a sinistra, secondo cui il nuovo articolo 18 è un attacco incostituzionale ai diritti dei lavoratori. C’è un dirigente sindacale riformista che non esita a giudicare nient’affatto sconvolgente la riforma Monti-Fornero del lavoro, nonostante le virulente critiche della Cgil e i malumori anche della Cisl e della Uil.

    C’è un sindacalista che non si piega al pensiero unico dominante a sinistra, secondo cui il nuovo articolo 18 è un attacco incostituzionale ai diritti dei lavoratori. C’è un dirigente sindacale riformista che non esita a giudicare nient’affatto sconvolgente la riforma Monti-Fornero del lavoro, nonostante le virulente critiche della Cgil e i malumori anche della Cisl e della Uil. C’è il responsabile di una grande territoriale sindacale che dice: “Non dobbiamo farci dettare la linea da chi negli anni passati si è opposto all’abolizione della scala mobile e alla politica dei redditi e poi non ha riconosciuto di aver sbagliato”. Ogni riferimento alla Cgil ora guidata da Susanna Camusso non è casuale.
    A parlare è Walter Galbusera, 65 anni, segretario della Uil Lombardia, bocconiano (“mi sono laureato quattro anni dopo Mario Monti”) che in questi giorni si trova spaesato tra accuse di incostituzionalità alla riforma del lavoro, invocazioni al modello tedesco da parte di chi contesta la cogestione e di scioperi generali prossimi venturi e magliette “Fornero al cimitero”. Mentre ricorda con nitore con quanta dedizione l’economista Monti ha partecipato ad alcune iniziative della Uil all’epoca della revisione della scala mobile.

    “L’impostazione della riforma Fornero-Monti del lavoro in via di principio è corretta e condivisibile – dice Galbusera in una conversazione con il Foglio – L’impianto generale si basa essenzialmente su due pilastri. Una maggiore rigidità in entrata e una maggiore flessibilità in uscita”. In questo, aggiunge il segretario della Uil Lombardia “è coerente con le indicazioni contenute nella lettera della Banca centrale europea dello scorso agosto che le forze politiche allora al governo non hanno avuto la forza di attuare del tutto e, anche per questo hanno fatto un passo indietro”.

    Galbusera ritiene che i mutamenti della norma che riforma l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non stravolgono la sostanza difensiva della legge: “Francamente non trovo nulla di davvero pericoloso per i lavoratori nella riforma che riguarda i licenziamenti disciplinari o economici, perché la discriminazione o la rappresaglia che si nasconde dietro un licenziamento illegittimo sarà sempre contestata dal sindacato”, dice Galbusera, mentre su questo la Cgil guidata da Susanna Camusso ha già proclamato sedici ore di sciopero generale. “E’ vero che – aggiunge il segretario lombardo della confederazione guidata da Luigi Angeletti – sul ‘punto dolente’ dei licenziamenti economici potrebbero esserci effetti negativi per un atteggiamento ostile della magistratura, il cui ruolo è stato ampliato, ma i giudici sono quelli di prima e la giurisprudenza non subirà certo vistose inversioni di tendenza”. Quindi è vero che il licenziamento economico può camuffarne uno discriminatorio o per rappresaglia ma, come prima, “sarà comunque la magistratura a stabilirlo. Del resto perché allora il ricorso all’arbitrato è stato abbandonato?”.
    A chi come la Cgil in questi giorni sta stigmatizzando l’indennizzo, chiedendo di tornare al reintegro in caso di licenziamento per ragioni economiche o organizzative, o come il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha lamentato una “monetizzazione del lavoro”, Galbusera vorrebbe donare il testo originale del 1985 della commissione Lavoro del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro).

    Il documento della commissione Lavoro del Cnel fu firmato da Luciano Lama (Cgil), Giorgio Benvenuto (Uil) e Danilo Beretta (Cisl), e nel capitolo sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori diceva: “L’esperienza non suggerisce un giudizio positivo sull’istituto della reintegrazione, che non trova riscontro in alcun altro ordinamento”.

    Galbusera, riformista e “craxiano negli anni Ottanta”, come lo ha bollato Gad Lerner nell’ultima trasmissione dell’“Infedele” su La7, sorride anche quando sente parlare di ricorso al modello tedesco: “Giusto. Condivido. Però ricordo che la Cgil, che ora sembra invocare la cogestione, rifiuta in via di principio di avere propri dirigenti sindacali negli organi di vertice delle aziende. Per non dire che in Germania si tratta e si contratta su tutto nelle aziende, compresi gli elenchi nominativi per le riduzioni di personale”. Insomma, il modello tedesco “più che essere imposto con una legge è prima ancora un fatto culturale e frutto di comportamenti e di relazioni sindacali”.

    Il capo della Uil Lombardia inorridisce anche sentendo alcuni storici ed editorialisti del quotidiano Repubblica, come Carlo Galli, che asseriscono: l’indennizzo contraddice il dettato costituzionale secondo cui la Repubblica italiana è fondata sul lavoro. “Lasciamo perdere, su questo tema si è espressa già la Corte costituzionale”. Galbusera, comunque, non nasconde che l’articolo 18 abbia “un profilo politico” che altre riforme non hanno. Ad esempio, la riforma delle pensioni non contrattata con le parti sociali, né da loro condivisa, aveva “un indubbio effetto economico in termini di risparmi di spesa pubblica” che ci veniva “consigliato” dalle istituzioni europee e dagli organismi internazionali. Ma “è il combinato disposto della riforma previdenziale, che ha allungato l’età di pensionamento, con i nuovi ammortizzatori sociali universalistici che hanno ridotto l’efficacia temporale di quelli attuali, il vero problema. E’ inevitabile, nella crisi, un aumento del numero dei disoccupati”.

    Invece c’è chi nel mondo sindacale “trova una via di fuga più semplice dirottando le maggiori attenzioni sull’articolo 18”. Così, conclude sconsolato Galbusera, “si evita anche di riconoscere che oggi in Italia sono più facili, paradossalmente, i licenziamenti collettivi di 5 persone che quelli individuali per motivi economici”.